Il leader dell’opposizione Hussein Moussavi isolato dietro allo schermo di un computer senza più connessioni, la voce degli ayatollah “duri e puri” pronto a invocare la forca per i contestatori, un Consiglio dei Guardiani deciso a calar il sipario su ogni disputa elettorali. Due settimane dopo la grande truffa che ha scatenato la rabbia degli iraniani tutto è pronto per la normalizzazione, per il ritorno alla cupa, obbediente consuetudine. Nelle strade non si sentono più le urla dei dimostranti, le galere sono affollate di oppositori, le manovre di Ali Akhbar Rafsanjani e di altri esponenti del regime vicini a Moussavi stentano a intaccare il controllo totale imposto dalla Suprema guida Alì Khamenei e dal presidente Mahmoud Ahmadinejad.
Il segnali più evidenti dell’imminente restaurazione li ascolti durante la preghiera del venerdì officiata dall’ayatollah Ahmad Khatami. Una settimana fa tensione e incertezza avevano indotto la Suprema guida a officiare di persona per chiedere alla nazione di riunirsi intorno ai suoi leader. Stavolta la parola del potere torna all’ayatollah conosciuto come la voce di Ahmadinejad e Khamenei all’interno dell’Assemblea degli Esperti, l’organo costituzionale presieduto da Rafsanjani a cui spetta la scelta del Supremo leader.
Khatami non delude i suoi protettori. «Chiunque si contrappone al sistema islamico e al leader della Società islamica deve essere combattuto fino alla distruzione», spiega l’ayatollah famoso per aver rinverdito, due anni fa, la fatwa lanciata dall’imam Khomeini contro lo scrittore Salman Rushdie. Stavolta il suo augurio di morte è riservato alle migliaia di iraniani scesi in piazza per protestare contro il governo. «Chiunque prende le armi per combattere contro il nostro popolo si merita l’esecuzione - ricorda Khatami - per questo chiediamo al potere giudiziario di fronteggiare i capi dell’opposizione e i responsabili di tutte le violazioni, di infliggere una spietata lezione a tutti coloro che sono appoggiati da Stati Uniti e Israele». La folla di basiji e sostenitori del regime radunata nel piazzale dell’Università di Teheran risponde ululando “morte a Israele, morte agli Stati Uniti”, ma nell’invocazione di quell’ayatollah inquisitore, è difficile non leggere il nome di Moussavi. Il leader dell’ “onda verde” è il solo e unico esponente dell’opposizione ancora in libertà. Ma la sua è ormai una libertà vigilata, controllata, minacciata. Da una settimana nessuno lo vede in pubblico e da ieri nessuno manco lo sente o lo legge più. Il suo ultimo messaggio pubblicato sul suo sito web giovedì mattina ricordava le “pressioni” esercitate contro di lui. Ieri quelle pressioni diventano rappresaglia cibernetica, repressione telematica. Da ieri mattina grazie alla pirateria elettronica del governo Kalemeh, il sito web di Moussavi, è un inutile buco nero, una ragnatela polverosa senza più né foto né testi, un dimenticato e irraggiungibile angolo d’internet.
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