Alla fine di una giornata convulsa, tocca allex presidente del Senato Franco Marini provare a rimettere in rotta lopposizione, e a far uscire il Pd dal cul de sac in cui si è infilato.
«Bisogna che qualcuno faccia un gesto distensivo, da entrambe le parti», ha spiegato ad alcuni colleghi di partito, preoccupati quanto lui per il livello di «tensione istituzionale» che si stava creando. Perché il clima di muro contro muro «non conviene a nessuno», tranne che a Tonino Di Pietro, e rischia di «aprire un problema anche con il Quirinale».
Già: il Quirinale è preoccupato dallinasprirsi dello scontro tra maggioranza e opposizione sul lodo Alfano. E secondo le voci rimbalzate ieri a Montecitorio (e confermate anche in casa Pd), in una telefonata di ieri pomeriggio Napolitano non avrebbe nascosto allo stesso Veltroni il proprio allarme per la conversione barricadiera del Pd, che ha rotto la tela di una mediazione avallata dal Colle negli ultimi giorni. Mediazione faticosa, triangolata con il governo e con la presidenza della Camera oltre che con il leader Pd, per arrivare a togliere di mezzo lemendamento blocca processi e approvare prima dellestate il lodo Alfano.
Ma allultimo il Pd ha avuto timore di esporsi agli attacchi della piazza e di Di Pietro, e ha imboccato la linea dura. «Ovvio che non potevamo votare il lodo - dice il rutelliano Renzo Lusetti - ma come ha spiegato Casini si poteva chiudere onorevolmente la partita lasciando che se lo approvassero da soli senza troppi strepiti e cantando vittoria per averli costretti a togliere la norma blocca processi. Ma siamo stati ancora una volta troppo ondivaghi, e da quel che sento dire il Quirinale non lha presa bene». I veltroniani ieri smentivano ogni tensione con il Colle: «Cè totale sintonia, e Napolitano ha molto apprezzato la nostra ferma difesa dagli attacchi dei girotondi», diceva Paolo Gentiloni. Ma intanto il racconto di quella telefonata dai toni poco concilianti passava di bocca in bocca.
Per questo Marini, ieri sera, ha voluto lanciare un messaggio diverso. Spiegando che una trattativa con la maggioranza «non è uno scandalo», perché «se bisogna fare delle cose si fanno», e che se il Pdl facesse il «gesto distensivo» di ritirare gli emendamenti blocca processi «si potrebbe creare un clima di maggiore serenità per discutere con calma del lodo Alfano».
A Marini non è sfuggita lirritazione che si respirava ieri sul Colle, quando Walter Veltroni ha lanciato laffondo contro il presidente della Camera Fini per laccelerazione impressa allesame del «lodo Alfano», accusandolo di «avallare e favorire lesproprio delle funzioni del Parlamento» da parte del governo e di aver «smarrito la sua funzione di garanzia». Toni molto simili a quelli (naturalmente più truculenti) usati dal capo di Italia dei valori. E che soprattutto tirano in ballo, mettendola nel mirino, la terza carica dello Stato, interlocutore istituzionale del presidente della Repubblica in una partita complicatissima. Nella quale, senza lapprovazione del lodo, il Quirinale si ritroverebbe a dover firmare (o respingere) lintero pacchetto sicurezza che contiene quella norma «blocca processi» che non gli piace. Finendo per esporsi o agli attacchi dellopposizione, Di Pietro in testa, o a quelli della maggioranza.
Fini, come spiega un esponente Pd molto vicino a Giorgio Napolitano, «ha lavorato a una soluzione del problema, arginando le spinte più oltranziste che venivano dal Pdl. E ora che si stava trovando la via duscita, Veltroni lo delegittima? Non ha senso, se non quello di inseguire la sinistra più oltranzista». Il problema, dice, è che «Veltroni voleva lintesa, ma voleva anche non perdere la faccia, non avere la piazza contro, e non sentirsi dire che non sa fare unopposizione dura e pura. Troppe condizioni, così non si riesce a gestire una linea».
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