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Telefonata tra il Quirinale e il leader del centrosinistra che rivela: «I consiglieri giuridici del Colle hanno delle perplessità. Anche i costituzionalisti sono divisi» No all’incarico da Ciampi: Prodi farà anticamera Il presidente della Repubblica

Consultazioni bloccate fino al 5-6 maggio, troppo a ridosso del termine del settennato

Massimiliano Scafi

da Roma

Drin. Squilla a metà mattina il telefono nel quartier generale del Professore, c’è Ciampi all’apparecchio che si vuole congratulare. «Caro Romano, complimenti e auguri. Ma sappi che non sarò io a darti l’incarico». Tempi lunghi dunque, nessuna corsia preferenziale perché, spiega il capo dello Stato, «i margini sono strettissimi» e la situazione, visti anche gli annunciati ricorsi della Cdl, non è ancora del tutto sedimentata. Certo, almeno fino a prova contraria, Ciampi considera il risultato assolutamente trasparente. Infatti in un comunicato si compiace «per lo svolgimento ordinato e regolare delle operazioni di voto, secondo la tradizione della democrazia italiana, e per l’elevata partecipazione, che costituisce un’ulteriore prova della maturità e dell’impegno civile del nostro Paese». Uno spoglio tranquillo che lui ha seguito «in costante contatto con il ministro dell’Interno» che non gli ha evidentemente segnalato irregolarità.
Ma insomma, la prudenza non è mai troppa, basta vedere i rapporti tutt’altro che british delle due coalizioni e la valanga di schede contestate dal centrodestra. E così Carlo Azeglio Ciampi, già da tempo poco disposto a conferire incarichi-flash, decide un ulteriore rallentamento: Romano Prodi, prima di andare a Palazzo Chigi, dovrà quindi aspettare l’adempimento di tutte le «norme e consuetudini costituzionali» previste, come peraltro è già successo nel 2001 per Silvio Berlusconi, e fare un paio di mesi di anticamera. La Carta prescrive infatti un percorso piuttosto lungo e bizantino, che inizierà dalla proclamazione ufficiale dei risultati da parte della Cassazione una volta esaminati i ricorsi, proseguirà con la prima riunione il 28 aprile del nuovo Parlamento e continuerà con l’elezione il giorno dopo dei presidenti di Camera e Senato e la costituzione, una settimana più tardi, dei gruppi parlamentari. Soltanto allora, e saremo attorno al 5-6 maggio, potranno cominciare le consultazioni formali al Quirinale per il nuovo governo. Prima, non c’è formalmente nessuno da consultare.
Ma siccome il 18 maggio scade pure il suo settennato, Ciampi non ritiene opportuno che tocchi a lui, a pochi giorni dall’uscita dal Palazzo dei Papi, nominare il futuro premier, tanto più in una situazione politicamente così contrastata. Lo conferma lo stesso Prodi: «La nostra è stata una telefonata assolutamente istituzionale, non c’è stata nessuna parola al di fuori della cornice ufficiale. L’incarico da Ciampi? Il Quirinale ha dei dubbi su questo, i consiglieri giuridici del Colle hanno delle perplessità e pure i costituzionalisti sono divisi. Anche i tempi tecnici non aiutano». All’investitura del Professore ci penserà quindi il nuovo presidente della Repubblica.
Che potrà anche essere il vecchio presidente. Il «pareggiotto» al Senato, dove l’Unione prevale solo di un paio di teste, e la vittoria al fotofinish del centrosinistra alla Camera consegnano un Paese sempre più diviso e sempre più difficilmente governabile. In questo quadro la difficile partita del Quirinale ai aggiunge a un già complicato avvio di legislatura, infarcito dalla scelta dei ministri, le elezioni amministrative e il referendum sulla riforma costituzionale. Con i due blocchi alla pari, costretti forse in futuro a una qualche forma di intesa sui grandi temi, aumentano le probabilità di un Ciampi-bis, di un’altra presidenza unificatrice e pacificatrice. Lo chiedono Casini, Mastella, Diliberto, Fini, Pecoraro Scanio e tanti altri. Più freddi, forse per non bruciarlo, i vertici dell’Unione. Per Fassino «è una questione prematura», per Rutelli «decideremo tutti insieme». Appaiono contrari invece Lega, Rifondazione e Radicali. Per Prodi la questione è un’altra: «Non so se Ciampi vorrà rimanere al Quirinale, quindi neanch’io posso pronunciarmi».
E in effetti, a ottantacinque anni, Ciampi ha più volte dichiarato di voler lasciare il Colle alla scadenza del settennato: «Completerò il mio mandato fino all’ultimo giorno, ma non uno di più». Di fronte però a una pressante richiesta bipartisan, il presidente potrebbe cambiare idea. Ma è un problema di domani.

Ora Ciampi vuole solo che l’Italia abbia un governo nella pienezza dei poteri per il vertice Ue di metà giugno perché «l’Europa ci guarda».

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