Telefoni, se Roma non parla con Genova

Telefoni, se Roma non parla con Genova

Dottor Lussana, in questi giorni si parla parecchio della Telecom (e credo che in proposito non si possa che dare pieno appoggio alla linea politica scelta dal centrodestra). Voglio tuttavia segnalarle un episodio fastidioso (e gustoso nello stesso tempo) che riguarda il disbrigo degli affari quotidiani da utente ad azienda. È capitato a me e mi ha sorpreso perché è stata la controreplica di quello che mi era accaduto poco tempo fa con la Banca (sede di Genova) presso la quale ho il conto corrente.
In breve: in data 21 ottobre 2006 ho comunicato (con lettera raccomandata) alla sede romana di Telecom (con la quale avevo avuto precedenti comunicazioni) il mio passaggio ad altro gestore (Fastweb). Ho pagato l'ultima bolletta del 6/12/2006 che conteneva l'ammontare delle spese di trasloco della linea (avvenuto nell'ultima settimana di luglio 2006) per un totale di 115,50 euro e pensavo che fosse finita lì. Neanche per sogno: mi è pervenuta un'altra bolletta pur non avendo io mai più fatto alcuna telefonata sulla linea Telecom. L'ho respinta al mittente fornendo esaurienti spiegazioni. Ho ricevuto il 6 aprile una telefonata da Asti dove una gentile signora richiedeva il pagamento della bolletta, adducendo la scusa che non le era stata data alcuna comunicazione della mia disdetta di contratto. Di fronte alla mia reazione energica, si è rassegnata al fatto di dovermi cancellare lasciando in sospeso la questione del pagamento di quest'ultima bolletta (senza consumi ma limitata al semplice canone).
Ora è possibile che nell'era del tempo reale (a mezzo computer o a mezzo fax si comunica con tutto il mondo: evidentemente laddove c'è una postazione ricevente) la sede Romana non trovi il tempo - in parecchi mesi - per comunicare alla sede Piemonte-Liguria-Val d'Aosta che è stato dismesso un contratto-abbonamento a mio nome? Oppure si lascia fare in maniera da creare per l'utente situazioni psicologicamente complesse e cavargli il più possibile? Oppure è semplicemente un deteriore costume del pubblico impiego che si è esaltato in tutte le sacche Irizzate del Paese?
Dev'essere sicuramente una combinazione di tutti questi aspetti perché come Le ho accennato è capitato un fatto analogo anche con la banca presso la quale ho un modesto conto corrente (che è anche conto titoli). Ho traslocato di abitazione in data 19 luglio. Due giorni prima ho comunicato alla sede di Genova il mio nuovo indirizzo. Con mia sorpresa da Roma per mesi e mesi non mi è più arrivato alcun resoconto (nemmeno quelli trimestrali, per non parlare di quelli mensili della carta di credito). Ho naturalmente insistito presso la sede di Genova e quando alla fine (dopo 6 mesi!) ha cominciato ad arrivarmi qualcosa, mi è stato mandato al mio vecchio indirizzo di Nervi.
C'è da chiedersi cosa sta succedendo all'efficienza di certe imprese e all'organizzazione del lavoro (o per lo meno - alla cura minima - nello svolgimento di quest'ultimo). Se i rapporti con Roma sono così difficili (quale ne sia il motivo) effettivamente il federalismo non può che essere la soluzione ad hoc (almeno per quelle regioni che non vogliono essere allineate alla prassi mediterraneo-balcanica). È davvero una bella consolazione, in un paese a pressione fiscale crescente che l’andazzo sia questo.
Cordiali saluti.


Il federalismo ha parecchie virtù, caro professor Papini, ma dubito che, nei casi specifici da Lei prospettati (che poi tanto specifici non sono, quanto al contrario regole di inefficienza storica...), possa risolvere la situazione. Vede, il fatto è che il federalismo - Bossi e la buonanima di Miglio ci perdonino la sintesi - non si traduce solo in decentramento amministrativo e fiscale, e ampia autonomia attribuita dal centro alla periferia dell’«impero» (romano). Il federalismo, quello vero, quello che funziona benissimo negli Stati Uniti d’America, in Svizzera e anche in tante altre nazioni del mondo meno paradigmatiche, presuppone il puntuale rispetto di una regola fondamentale: la responsabilità individuale, prima ancora di quella collettiva. L’Italia - di ieri e, ahimè, anche di domani - pare invece confermare saldamente e pervicacemente il contrario.

All’insegna del: «Questi sarebbero affari miei, perciò dovrai occupartene tu». Succede nei reality e nella realtà. Politica e amministrativa. Pubblica e privata. In Piemonte e nella capitale. Dove, in materia di efficienza, di assolutamente sicuro c’è solo l’incerto.
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