Politica

Il telefono accorcia la vita

Ma perché Marco Tronchetti Provera si scontra così duramente con Romano Prodi? Certo, i tempi per un consolidamento, sia pure non drammatico, dei conti di Olimpia e Telecom Italia sono incombenti. C'è, poi, l'irritazione per l'arroganza, eredità di due presidenze Iri, che Prodi esibisce quando interviene tra affari e finanza. Non sarà mancata l'impazienza verso Angelo Rovati, uomo di mano del premier, che prometteva questo e quello senza risultati. Però è diffusa la convinzione che un imprenditore prudente come Tronchetti non sarebbe arrivato a un confronto così aspro se non fosse stato convinto anche della scarsa probabilità di durare dell'attuale esecutivo.
D'altra parte che l'arietta verso il governo in carica sia pessima anche a sinistra, si comprende leggendo tanti opinionisti già ultraprodiani. Giuseppe Turani su Affari e Finanza scrive: «Quasi quasi erano meglio Berlusconi e Tremonti di questa gente». Claudio Rinaldi sull'Espresso scrive: «È mai possibile che spunti addirittura la tentazione di spezzare una lancia per Roberto Maroni?». Guido Rossi si lancia in un «Ma quelli vogliono ricostituire l'Iri». «Per vincere le elezioni Prodi è stato costretto a stringere un'alleanza con una sinistra radicale, una sinistra riformista e alcuni elementi imprevedibili», scrive Umberto Eco su Repubblica. Marco Travaglio per difendere il governo dalle accuse di Piero Ostellino scrive sull'Unità che il centrosinistra è «al massimo un'armata brancaleone che barcolla fra una gaffe e un tremolio».
Se così la pensano opinionisti schiettamente di sinistra, figurarsi che idea della situazione si sono formati i settori dell'establishment che avevano flirtato con la salita al potere del centrosinistra. Questo effetto di sbandamento, solo attenuato dalle mosse internazionali dalemiane, produce un risultato: a difendere la capacità di governo del centrosinistra pare quasi essere il solo Tommaso Padoa-Schioppa. Gli altri, Pierluigi Bersani, Vincenzo Visco, Enrico Letta, sembrano defilarsi.
Ora, Padoa-Schioppa è di sicuro un grande tecnico ed economista ma la politica non è il suo mestiere. E quando mette tutte le sue uova nel paniere di una grande concertazione con i sindacati, commette un'ingenuità. Innanzi tutto la situazione non è quella del 1993: non solo non è così grave. Non solo i partiti non sono più commissariati da magistratura e dall'estero. Non solo i sindacati non sono a pezzi come in quella stagione. E l'attuale ministro dell'Economia non ha il peso bipartisan che aveva Carlo Azeglio Ciampi in quel periodo. Ma, soprattutto, una cosa è chiedere semplicemente della moderazione sindacale sotto l'incombere della catastrofe economica. Un'altra avere nelle confederazioni un articolato partner per la modernizzazione. Padoa-Schioppa ricorda che in Svezia ci si è riusciti. Ma nei Paesi scandinavi, a parte tutte le altre differenze tra le quali quella dell'efficienza dello Stato, non c'è una Cgil saldamente condizionata dai settori conservatori (pubblico impiego, metalmeccanici, scuola e pensionati) e guidata dall'amletico Guglielmo Epifani.
Quel pragmatico ed efficace capo della Cisl che è Raffaele Bonanni ha fatto capire a Padoa-Schioppa che cosa sarebbe un programma «svedese»: rinazionalizzazioni, più tasse ai ceti medio-alti e più contributi al lavoro autonomo. Un programma sicuramente inefficace che il leader cislino lancia solo per non farsi scavalcare a sinistra dalla Cgil e magari da qualche confindustriale. Sapendo che è «impossibile» realizzarlo con una maggioranza di un senatore e 25mila elettori.

Ecco perché il governo Prodi avrà vita breve.

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