«Temo “giochini” al congresso Pd Da Franceschini parole miopi»

Milano«Solidità». Il suo candidato alla segreteria del Pd, Pierluigi Bersani, lo ripete come un ritornello: vuole un partito «solido, popolare e radicato». E Filippo Penati sembra una mozione congressuale vivente. Sarà per questo che l’ex ministro lo ha scelto per coordinare la sua campagna alla conquista del partito. Cinquantasette anni, vissuti da iscritto, militante, assessore, sindaco, segretario provinciale, Penati è stato nel Pci, nel Pds, eletto presidente della Provincia di Milano per i Ds. Ha sfiorato la conferma un mese fa per il Pd: il candidato del Pdl Guido Podestà ha vinto ma lui, almeno nel partito, sembra non proprio che non abbia perso. Porta in dote a Bersani una bella fetta della sinistra milanese, e ha l’aria serena di chi è pronto al grande salto romano. Si irrigidisce solo quando gli nominiamo il Giornale, e avverte: «Non vi ho rilasciato un’intervista. Non vi autorizzo a pubblicarla». Ma intanto aveva già risposto su tutto. A partire da sé.
Penati, è stato «promosso» dopo una sconfitta?
«Sì, una “trionfale sconfitta” come ha scritto qualcuno. No, Pierluigi mi ha offerto questo incarico perché abbiamo una grande affinità, e una storia politica identica, visto che entrambi veniamo dall’amministrazione di enti locali».
Siete d’accordo anche quando Bersani annuncia di voler tornare a un sistema di alleanze dentro il centrosinistra?
«Sono convinto che il congresso del Pd metterà in moto dei meccanismi, anche dentro le altre forze politiche, di scomposizione e di riflessione».
Ma lei non è stato forse candidato alla Provincia di Milano senza la sinistra. Non è una contraddizione?
«Io ero candidato senza alcuni pezzi della sinistra. Senza la sinistra conservatrice, perché abbiamo constatato che su alcune questioni importanti non c’era la possibilità di andare insieme. E abbiamo dimostrato che Milano era contendibile anche così».
A Milano...e l’Italia no?
«Credo che l’operazione del Pd costringerà tutti a riflettere e a verificare le proprie scelte. Quel che conta è che le alleanze partano da un progetto».
Dov’è finito il suo Pd del Nord?
«Bersani ha parlato di un partito federale a forte autonomia». Per qualcuno il congresso l’avete già vinto. Torna anche a voi il conto del «Corriere»? La mozione Franceschini è al 28 per cento?
«Ho letto solo il titolo di quell’articolo, ma non ho capito come viene fuori quel 28 per cento».
Però la corsa del cosiddetto «terzo candidato», il chirurgo Ignazio Marino, avvantaggia voi più che Franceschini?
«È difficile da dire. Posso dire questo: se Marino raccoglie, come credo, un certo consenso, e questo è nelle cose, mi auguro che chi sta con lui non lo usi come un giochino, anzi come una scelta tattica, per vanificare le primarie».
Quindi voi non avete paura delle primarie? Puntate a vincere fra tutti i simpatizzanti prima che nel partito?
«Vi pare che possiamo aver paura? Bersani sta parlando a tanti giovani, amministratori, persone che hanno consenso e che conoscono i problemi della gente. Le primarie non ci spaventano».
C’è un’ipoteca di D’Alema?
«Ripeto: Bersani è il candidato. E con lui ci sono tantissime persone, dentro e fuori dal partito, tanti giovani e amministratori».
Come giudica le mosse di Dario Franceschini? Vi sembra nervoso?
«Franceschini ha sbagliato, anzi - mi correggo - ha fatto un discorso di corto respiro quando ha parlato di vecchio e nuovo. Perché il nuovo si misura sulla capacità d’innovazione».


C’è uno che vorrebbe con sé dell’altra squadra. Fassino?
«Ho un sacco di amici dall’altra parte. Da quando faccio politica veramente io di nemici non ne ho mai avuti. Un nome? No, se faccio un nome solo poi si offendono tutti gli altri».

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