Tempi stretti Legittimo impedimento, Napolitano verso il sì

RomaFirma? Non firma? Prendete il cauto ottimismo che filtra da Palazzo Chigi, aggiungete il silenzio assoluto ostentato dal Quirinale, miscelatelo con l’ultima decisione di Giorgio Napolitano, che una settimana fa ha rimandato alle Camere la riforma del lavoro, e forse otterrete la soluzione del quiz.
Sono settimane ormai che tra Montecitorio e Palazzo Chigi rimbalza sempre la stessa domanda: Giorgio Napolitano darà il via libera alla legge sul legittimo impedimento? Domanda finora senza risposta. Il capo dello Stato in questi giorni invita «a non almanaccare» sulle sue scelte e si limita a dichiarazioni di ottimismo sul «clima politico sereno» che si è creato dopo le Regionali in vista delle «necessarie» riforme.
Dunque, dal Colle riserbo totale. L’unico commento che trapela è che «la decisione è matura», che «il grosso del lavoro è finito» e che «l’esame è stato compiuto in maniera attenta e scrupolosa». L’unica cosa certa, quindi, è che l’annuncio è imminente: oggi, al massimo domani mattina. Nel pomeriggio infatti il presidente volerà a Verona per una visita di due giorni. Resterebbe, è vero, il giorno di sabato, perché i termini di legge scadono il 10 aprile. Ma dal Quirinale escludono una decisione in zona Cesarini: «Le considerazioni da fare sono state fatte, c’è stato tutto il tempo per una valutazione serena».
Tutto il resto sono ipotesi, speculazioni, teorie. Certo, se uno dovesse scommetterci qualche soldo sopra, converrebbe puntare sul sì. Anche se dal Colle invitano a «non dare per scontati automatismi, comparazioni e compensazioni», dal punto di vista politico appare difficile che Napolitano voglia assestare un secondo e consecutivo stop a una legge del governo, dopo il disgelo di giovedì scorso. E stavolta, a differenza dell’articolo 18, si tratta di un argomento che sta molto a cuore al Cavaliere perché incide profondamente sulla capacità di governare tranquillamente.
E c’è un’altra considerazione da fare. A suo tempo il capo dello Stato, firmando il Lodo Alfano, aveva di fatto convenuto sulla necessità di dotate le alte cariche della Repubblica di uno strumento legislativo che consentisse a tutti di lavorare e al premier di amministrare il Paese senza l’assillo delle udienze processuali. Se Napolitano la pensava così in quella occasione, perché dovrebbe aver cambiato parere adesso?
Sennonché il Lodo venne poi bocciato dalla Corte Costituzionale, incrinando i rapporti tra Quirinale e Palazzo Chigi e complicando parecchio pure il compito del presidente. Altro argomento a favore del no: in un passaggio del testo del legittimo impedimento si parla esplicitamente di legge-ponte, anticipando così la prospettiva di doverci comunque rimettere le mani sopra con una legge costituzionale. Un provvedimento di tipo ordinario non sarebbe quindi la strada adeguata per arrivare allo scudo.
I critici del testo vedono anche altri due punti di debolezza. Il primo sta nella possibilità prevista di avvalersi di impedimenti continuativi, il che limiterebbe l’autonomia del giudice. Il secondo riguarda l’autocertificazione dell’impegno da parte della presidenza del Consiglio.

Ma un’altra scuola di pensiero non considera fondamentali questi due aspetti: quantomeno, non toccherebbe al capo dello Stato pronunciarsi su simili dettagli. Il presidente della Repubblica, attraverso i suoi uffici giuridici, deve solo controllare se esistono «profili di evidente incostituzionalità». La Consulta sta di fronte, non dentro il Quirinale.

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