Tempo scaduto per le banche locali

Secondo un’indagine, va ripensato il rapporto con territorio e imprese

da Milano

Banche locali addio. I 500 piccoli istituti italiani, per lo più di natura cooperativa, che operano in una sola provincia, hanno fatto il loro tempo. Per loro, così come del resto per i grandi gruppi nazionali meno ancorati alle economie locali, il rapporto con il territorio va ripensato anche per fornire un supporto più efficace alle imprese.
Su queste linee si sviluppa l’XI Rapporto sul sistema finanziario italiano della Fondazione Rosselli. «Le banche locali hanno favorito la crescita ma non sono stati catalizzatori dell’innovazione delle imprese», ha affermato Donato Masciandaro, curatore insieme a Giampio Bracchi dello studio, dedicato quest’anno al tema «Banche e geografia». «La banca locale non basta più, non ha economie di scala. D’altra parte il grande gruppo nazionale sta rivedendo in molti casi il modello divisionale. Entrambi vanno verso quella che definiamo la banca territoriale, che ha economie di scala senza perdere la conoscenza del tessuto produttivo», ha aggiunto Masciandaro.
La banca territoriale può raccogliere la sfida del finanziamento delle imprese innovative? Il rapporto sottolinea come le imprese distrettuali che, riconvertendosi, hanno saputo tornare, o rimanere, vincenti, hanno trovato nelle banche di riferimento un efficace appoggio. Relazioni durature tra imprese vincenti e banche producono effetti positivi sulla innovazione, di prodotto come di processo, nonché sulla propensione ad investire in ricerca e sviluppo. «Le imprese non hanno solo bisogno di credito commerciale, tradizionale. Quelle che crescono hanno bisogno di capitale di rischio, prodotti finanziari, assistenza all’estero», ha sottolineato Giampio Bracchi. Sul fronte dell’economia reale, il rapporto della Fondazione Rosselli rileva intanto che dietro al tasso di crescita, pari a zero, del Pil nazionale è aumentato il divario fra le imprese vincenti e le perdenti.

«La competitività oggi non dipende più da fattori pubblici o semipubblici - ha spiegato Masciandaro - come l’appartenenza a un distretto industriale, la possibilità di beneficiare della svalutazione della moneta o di evadere il fisco, bensì da fattori privati come l’innovazione tecnologica e il capitale umano. E per questi occorre capitale di rischio». Un settore quest’ultimo - è stato rilevato - dove il nostro Paese ha ancora molta strada da fare.

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