«È stato un clamoroso salto nel buio. Chi ha spinto per la Brexit, anche ad alto livello, ha completamente sottovalutato, o addirittura ignorato la questione irlandese, e ora non sanno più come uscirne. Perché non c'è compromesso possibile. Il confine resta aperto come chiede Bruxelles e allora il Regno Unito, di cui l'Irlanda del Nord fa parte, non esce più dal mercato europeo, oppure, se il governo inglese vuole applicare la Brexit, non può che pretendere che la frontiera ritorni a essere blindata. Ma entrambe le soluzioni portano di fatto al fallimento delle trattative. Poiché per l'Unione europea quella del soft border è una linea rossa insuperabile, le decisioni ora stanno tutte nelle mani di Londra», dice Maurice Walsh, docente alla Goldsmiths University di Londra e tra i più noti studiosi di storia irlandese (ultimo libro Bitter Freedom: Ireland in a Revolutionary World 1918-1923).
«E pensare che i rapporti tra Londra e Dublino non erano mai stati così buoni, in Irlanda regnava un'assoluta armonia. La potenza simbolica di un ritorno ai check point, alla separazione, rischia di catalizzare nicchie di nostalgici e di riaccendere il fanatismo. Chi non conosce la realtà e la Storia», dice Walsh, «ipotizza con superficialità una soluzione di confine come quelli esistenti tra Svezia e Norvegia oppure tra Italia e Svizzera. In Irlanda non c'è alternativa al confine invisibile, qualsiasi altra soluzione è pericolosa». Infatti anche l'escamotage tecnologico appare utopico. L'idea di uno «smart border 2.0» dove i controlli possano avvenire senza barriere fisiche telecamere, check delle targhe incrociati con documenti fiscali preventivi - è tramontata quando si è capito che anche appunto tra Svezia e Norvegia, dove la tecnologia è ampiamente utilizzata, vi sono 14 punti di controllo fisico. «Qualsiasi passo indietro sarebbe pericoloso. Il confine che divideva le due parti dell'Irlanda è svanito gradualmente, prima con l'abolizione dei controlli doganali seguita all'ingresso della Gran Bretagna nella comunità europea, poi con l'implementazione del processo di pace, che ha rimosso i blocchi stradali armati e la sorveglianza elettronica in quella che era una delle frontiere più sensibili e militarizzate d'Europa. Il border era infatti anche una barriera psicologica e istituirla di nuovo, dopo aver faticato così tanto per abbatterla, riporterebbe in vita vecchi simbolismi e contrapposizioni identitarie». «In ogni caso - aggiunge Walsh - non è facile ritessere complessi accordi di free trade in pochi mesi».
Theresa May appare «intrappolata nel dossier irlandese», cerca di rassicurare Dublino, Belfast, Bruxelles e i custodi dell'ortodossia brexitaria. Ma trovare una soluzione che tenga conto di tutte le esigenze sembra impossibile. E, oltretutto, c'è poco tempo per provare a farlo: il Regno Unito, secondo gli accordi, uscirà ufficialmente dall'Ue nel marzo 2019, per poi iniziare un periodo di transizione che si concluderà definitivamente il 31 dicembre 2010. Per rispettare le scadenze, è necessario chiudere tutti i dossier, compreso quello irlandese, in tempo per il Consiglio europeo di giugno in modo da poter stipulare un accordo definitivo in ottobre, in tempo per il Consiglio europeo del prossimo giugno, in modo da poter stipulare un accordo definitivo in ottobre. L'accordo sarà poi sottoposto al Parlamento inglese, per l'approvazione.
Per fare pressione sui recalcitranti, Theresa May diffonde l'idea secondo cui, qualora non passasse la ratifica, il Regno Unito sarebbe costretto a tuffarsi senza rete nei marosi della Brexit. E a quel punto il salto nel buio potrebbe diventerebbe un suicidio.M G M
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