"Temporale" è un dramma da camera, scritto da Strindberg nel 1907, per il suo Intima Teatern, ed è la storia di un vecchio funzionario, abbandonato dalla moglie, che ha scelto di vivere, in solitudine, con i suoi ricordi. Strehler ne fece uno spettacolo irripetibile, con Tino Carraro. Orsini aveva in mente di rifarlo, solo che la figura di quel vecchio entrò talmente in simbiosi con la sua da immaginare un vecchio che gli somigliasse, ovvero un attore che, in attesa di entrare in palcoscenico, per interpretare il Temporale, decide, quasi in una situazione onirica, di recitare la sua vita, rivivendone i momenti più esemplari. A dire il vero, molti di questi momenti, Orsini li aveva raccontati nel libro "Sold out", pubblicato da Laterza (2019), quando aveva 85 anni, ed era molto più giovane. Ha atteso altri sei anni per pensare allo spettacolo "Prima del temporale" in scena al Piccolo- Grassi, dal 2 al 21 Dicembre, spettacolo che, dopo il debutto a Spoleto, con standing ovation, ha girato per tutta la penisola con gli stessi risultati, ovvero con il pubblico, tutto in piedi, che lo applaude e che non lo lascia ritornare in camerino.
Cosa racconta Orsini e a chi? Semplicemente una parte della sua vita, alla sua sarta, che lo ha sempre accudito e a un addetto al teatro, forse un pompiere. Racconta I suoi inizi per diventare attore, aiutato dal fratello che gli permette di iscriversi all'Accademia Silvio D'Amico, quindi il debutto con "Anna Frank", diretto da De Lullo, con Anna Maria Guarnieri, solo che i ricordi spaziano, soprattutto, sugli amici attori scomparsi, in particolare su Corrado Pani, quindi su Paolo Stoppa, Romolo Valli, Rossella Falk, che rimpiange, perché non ci son più e che, se tornassero in vita, lo avrebbero scambiato per un sopravvissuto a tanti altri temporali dell'esistenza.
Spesso, Orsini ironizza con se stesso, specie quando parla dei suoi amori o dei suoi successi, con il pubblico che lo applaude. Lo fa, senza far niente, un po' come Eduardo, il quale sosteneva che, sul palcoscenico, si arriva stanchi e che, pertanto, non c'è bisogno di far niente. Solo che questo non far niente, per il grande attore, è frutto di una immensa fatica. Orsini dice che quando entra in scena, la prima cosa che gli viene da pensare è che: "quella sera mi capiterà di dire cose importanti, profonde, a volte spiritose, a volte drammatiche, raramente banali". Insomma, nulla di straordinario, ma, allora a che cosa è dovuto tanto successo? Personalmente, credo che sia da attribuire all'autorità che l'attore mostra sul palcoscenico, ed è questa autorità che rende un classico, contemporaneo, e non certo la bizzarria di una messinscena.
L'autorità, in teatro, non ha nulla a che fare col potere, anzi un attore o un regista che esercitano un potere, sono poco credibili, l'autorità appartiene alla loro creatività. I latini erano soliti dire "sapere aude", che vuol dire: osa essere saggio, l'attore saggio ha tanta autorità che, a sua volta, dipende da regole e dalla continuità lavorativa.
Le acclamazioni che Orsini riceve tutte le sere appartengono a questa idea di autorità. Egli non fa nulla, si muove, persino, poco in camerino metafisico in attesa di andare in scena, attesa che trasforma in qualcosa che ha a che fare con la sua biografia.
La sua autorità non ha nulla di gerarchico, va cercata nei silenzi e negli sguardi verso il vuoto che egli cerca di riempire con la sua memoria. Credo che a base di tale autorità, non ci sia solo il talento, ma tanto lavoro accumulato, oltre che tanta stanchezza.