Cronaca locale

"Qui morirà un'altra Desirée..." Il fortino dei migranti fa paura

Si espande sempre di più la tendopoli popolata da senzatetto e tossicodipendenti lungo le Mura Aureliane. L'accampamento è diventato il punto di riferimento per chi vuole acquistare droga. E i residenti denunciano: "Segnaliamo risse e degrado ma nessuno interviene"

"Qui morirà un'altra Desirée..." Il fortino dei migranti fa paura

"Abbiamo fatto decine di segnalazioni ma non si è mosso nessuno, da soli non possiamo intervenire, c’è il rischio che ci feriscano con una siringa o una coltellata". Augusto, 78 anni, abita a San Lorenzo da una vita. Lo incontriamo mentre passeggia con un amico a piazzale Tiburtino. Scuote la testa e indica in direzione delle Mura Aureliane. La tendopoli è ancora lì. È uno dei segni evidenti che la zona ormai è cambiata radicalmente: non è più il vecchio quartiere operaio dove è nato e cresciuto, ma un catalizzatore di pusher e degrado.

La baraccopoli corre lungo un tratto della muraglia interdetto a causa di uno dei tanti distaccamenti che negli anni hanno falcidiato il monumento. Quello che succede al di là delle transenne ve lo abbiamo già raccontato il mese scorso. All’epoca ci eravamo imbattute in una decina di stranieri, in prevalenza nordafricani e dell’Est Europa, intenti a consumare droghe di tutti i tipi: marijuana, cocaina, eroina e crack. Da allora le cose non sono cambiate, anzi. Quell’inferno si è ormai trasformato in un punto di riferimento per chi vuole acquistare qualche dose.

Tra i clienti ci sono anche ragazzini. Giovedì pomeriggio ce ne sono tre a mettersi in fila fuori dall’accampamento. Avranno al massimo 17 anni. A qualche centinaio di metri da qui, nella crack house allestita all’interno di un cantiere abbandonato in via dei Lucani, venne ritrovata senza vita una loro coetanea, Desirée Mariottini. Ma la morte della sedicenne di Cisterna di Latina, lasciata ad agonizzare su un materasso sporco dopo aver assunto un cocktail di droghe ed essere stata stuprata, non ha insegnato nulla. "Tutti i giorni è la stessa storia, si bucano, fumano il crack, spacciano, tutto in pieno giorno e davanti ai passanti, anche donne e bambini, è assurdo", denuncia il proprietario di un bar su viale di Porta Tiburtina.

"Di segnalazioni ne abbiamo fatte tante, abbiamo scritto anche al prefetto", ci dice indignato. L’unica risposta arrivata delle istituzioni è stato un silenzio assordante. "Il Comune dovrebbe trovargli un posto, non ne possiamo più", conclude il barista. Secondo un ragazzo che vive a poca distanza dall’insediamento qui "c’è da avere paura". "Sono sempre fatti, si prendono a bottigliate, lasciano le siringhe usate sui marciapiedi, mi preoccupo per i bambini, gli anziani o le ragazze che magari di notte tornano a casa da sole", racconta il trentenne.

"Li sentiamo schiamazzare, litigano, si lanciano le bottiglie e ogni tanto ci scappa anche qualche coltellata", gli fa eco Augusto, l’anziano residente che incontriamo in piazza. "Qui è diventato uno schifo", rincara la dose il suo amico Mario. Il settantenne non ha dubbi: "Sapete come andrà a finire? Ci sarà un altro morto proprio come è successo con Desirée". "L’ultimo esposto in Municipio su quella situazione fu fatto soltanto quindici giorni prima che la ragazza morisse, purtroppo se gli spazi non vengono gestiti e valorizzati si trasformano in zone franche", denunciano anche dal Comitato Mura Aureliane.

"Questo è il monumento più esteso della Capitale, la più grande cinta muraria di epoca romana sopravvissuta ai giorni nostri, e versa in uno stato di periferia urbana", proseguono dal Comitato. "Per invertire questa tendenza – aggiungono – non basta sgomberare, bisogna ripensare gli spazi per strapparli al degrado". Un degrado che il Comitato definisce "democratico", perché interessa le cinta murarie in più tratti. E infatti anche qualche metro più avanti, lungo viale Pretoriano, le tende canadesi si moltiplicano di giorno in giorno. Ad occuparle sono decine di africani senza fissa dimora.

È l’ennesima terra di nessuno di una città sfregiata dall’incuria.

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