Tennis, basket o calcio: nei Balcani l'odio ultrà ha sempre una scusa buona

In Croazia sassi e bottiglie contro i cestisti serbi Agli Australian Open risse e cori razzisti ad ogni incontro tra tennisti dell'ex Jugoslavia Nel 2003 dopo una finale di pallanuoto in 5mila devastarono l'ambasciata croata a Belgrado Nel tifo sopravvivono le tensioni della guerra

QUELLI CHE ANCHE SENZA CALCIO... Un rovescio, una palombella, una schiacciata. Ogni scusa è buona, in casa o in trasferta e pure in campo neutro. Ogni stadio, piscina, palestra. Per chi ancora crede che sia la fisicità mascolina del calcio il viatico per la violenza dei tifosi, arrivano le ennesime smentite. Arrivano dall'Australia e dalla Croazia e vedono come protagonisti quelli che in ogni contesto sportivo sono considerati tra gli hooligans più pericolosi al mondo: i gruppi organizzati dei Balcani. GIOCO A ZONA (FRANCA). Si comincia dall'aeroporto di Spalato. La squadra di basket della Stella Rossa di Belgrado ha appena vinto 67-62 contro i locali e stava attendendo il volo per la Serbia. Una ventina di hooligan croati, però, ha fatto irruzione nel terminal nonostante il luogo fosse controllato. Hannolanciato sassi e bottiglie contro i cestisti serbi, ferendo l'americano Andre Owens alla gamba, e poi sono fuggiti. DIRITTI, ROVESCI E INSULTI. Le tensioni pseudo-sportive e molto etniche tra serbi, croati e bosniaci arrivano anche agli antipodi, e in particolare a Melbourne. In Australia le comunità balcaniche sono particolarmente numerose e di conseguenza anche un avvenimento di norma morigerato come una partita di tennis può diventare pretesto per risse e scontri. Il precedente più famoso si ebbe due anni fa, quando le forze dell'ordine dovettero espellere dall'impianto oltre 150 persone coinvolte in una maxi-colluttazione. La stessa cosa sta accadendo in questi giorni agli Australian Open. Prima le tifoserie opposte si sono abbandonate a intemperanze durante il match tra il croato Cilic e il serbo Tipsarevic; poi gli ultrà hanno fatto di peggio durante l'incontro tra l'americano (di origine bosniaca) Delic e il francese Mathieu. «Un circo», «un caos infernale, scambi di cori razzisti e così via che fanno temere il peggio per il prossimo incontro, che vedrà opposto Delic al campione serbo Novak Djokovic. LE BOTTE DI BOBAN. In principio era il calcio. E attorno agli stadi di Zagabria, Novi Sad e Belgrado si radunavano delinquenti, assassini, mercenari. Tutti nelle curve, a partire dagli anni Novanta. La guerriglia ultrà fu il prodromo alla mattanza della guerra civile. L'episodio più famoso fu quel match tra Dinamo Zagabria e Stella Rossa del 1990, con invasione di campo, carneficina dei celerini serbi e il croato (e poi milanista) Zvominir Boban che prese a calci un poliziotto per difendere i tifosi suoi connazionali. TIGRI CONTRO TIGRI. Poi venne il tempo di Arkan. Zeljko Raznatovic. Considerato il più sanguinario criminale di guerra di Serbia, comandante di un gruppo paramilitare che si macchiò di massacri come quelli di Brcko e Srebrenica. Le sue “Tigri”, Arkan le reclutò nella curva dello stadio Marakana, tana della Stella Rossa in cui trovò pazzi nazionalisti e ultra-violenti che lo aiutarono nei genocidi contro croati e bosniaci. Leggendaria la scena che attese i giocatori biancorossi nel '91: al ritorno dal Giappone, dove la Stella Rossa di Savicevic, Stankovic e Mihajilovic aveva vinto la Coppa Intercontinentale, Arkan e le sue Tigri attesero la squadra per offrire in dono una zolla di Slavonia, la regione serba “ripulita” dai croati. Il rapporto tra Arkan e il calcio non finì qui, tanto che Raznatovic divenne pure presidente dell'Obilic Fc: quando il presidente dell'Uefa Lennart Johansson sospese il club dalle competizioni internazionali, Arkan ne pianificò addirittura l'omicidio. FINE FOLLIA MAI. Questo rapporto malato tra nazionalismo, violenza e sport non poteva non lasciare ferite profonde. Come quelle che ancora straziano l'ex Jugoslavia. Dalla fine della guerra, tanti sono le occasioni di scontro e spesso lo sport si presta alla perfezione. È il caso della finale della finale degli Europei di pallanuoto del 2003. In Slovenia si giocano il titolo Croazia e Serbia-Montenegro. Vincono i serbi, i croati si scatenano in piscina. Per le vie di Belgrado in cinquemila si raccolgono nelle piazze e devastano l'ambasciata croata. Nel 2008, invece, era stata l'ambasciata americana a finire nel mirino degli hooligans di Stella Rossa (i Delje, i «ragazzacci»), Partizan (i Grobari, i «becchini») e Bezanjia (i neonazisti dei Rad). Dopo la dichiarazione di indipendenza del Kosovo, tutti sono scesi in piazza al grido di «negri, musulmani, turchi e comunisti nella fossa!».

D'altronde, in dieci anni ci sono stati almeno una dozzina di omicidi consumatisi negli ambienti ultrà: il Partizan escluso dall'Uefa per i pestaggi in Bosnia in occasione della partita con lo Zrinjski, il poliziotto infiltrato nella curva nord della Stella Rossa in fin di vita perché bruciato vivo con un razzo acceso in bocca, gli ultrà ustascia croati che a Livorno nel 2006 formarono una svastica umana sugli spalti in occasione di un'amichevole con l'Italia. Insomma, un inferno di tifo e odio sempre pronto a traboccare. Non importa se per un doppio fallo non segnalato o per un gol annullato.

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