«Sul palco voglio raccontare molto di Milano, degli anni 60 e non solo, delle osterie, delle balere. E del vecchio Derby: quando ci passo davanti mi vengono in mente tante situazioni. Ogni tanto me le appunto, per poi riproporle e far vedere comeravamo».
Si illumina Teo Teocoli quando parla del Derby di via Monterosa: quel Derby che negli anni doro ha lanciato talenti come Jannacci, Boldi, Abatantuono, Villaggio, Cochi e Renato, Faletti. Giovani di belle speranze, inconsapevoli che un giorno le loro canzonette popolar milanesi, le gag fulminanti, le battute non-sense avrebbero scritto la storia del cabaret italiano. Con quello spirito Teo Teocoli scende in campo, alla guida dei «giovani» di allora: «La Compagnia dei Giovani» appunto, così ha voluto chiamarla («dove il più giovane ha superato i 60 da un po» scherza Teocoli), che tutti i mercoledì, giovedì e venerdì di maggio, al Teatro Derby di via Mascagni (ore 21, tel. 02-76016352), faranno rivivere il cabaret che fu.
Armando Celso, Tony Dallara, Mario Lavezzi, Zuzzurro e Gaspare, «e altri che stanno arrivando in corso dopera, come Massimo Boldi, Enrico Beruschi e, perché no, Lino Toffolo o Enzo Jannacci. Mi piacerebbe che Enzo venisse almeno una sera alla settimana, per godere io stesso di quelle canzoni, di quegli sketch».
Non unoperazione amarcord, ma «un happening che si rinnova ogni sera» con grandi nomi ed altri nuovi, apparsi nelle serate dedicate agli emergenti. «Vorrei che il nuovo Derby diventasse un punto di ritrovo spiega Teocoli -, una palestra per i giovani, dove farsi le ossa, imparare a stare sul palco, e loccasione per riunire i fuoriclasse del cabaret. Andrea Brambilla e Nino Formicola, per esempio, si sono conosciuti proprio al vecchio Derby rivela Teocoli -. Qui hanno dato vita allaffiatata coppia dellingenuo commissario Zuzzurro e del suo fido assistente Gaspare. Insieme abbiamo fatto «Emilio», «Drive In»: abbiamo tanto da raccontarci. Con Tony Dallara, poi, scopriremo un mondo milanese che pochi ricordano: le balere di una volta, come si cantava, come ci si vestiva, come si formavano le orchestrine per il weekend. Bastava andare in giacca e cravatta per essere del gruppo: «Tu hai il sassofono? Bene. Tu la chitarra? Bene. Allora stasera si lavora là». Ma parlerò anche delle mie vicissitudini, che magari allora mi facevano soffrire, ora fanno sorridere. A volte anche ridere».
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