Dalla terapia intensiva al ritorno a casa propria

Dalla terapia intensiva dell’ospedale al ritorno all’abitazione con la migliore qualità di vita possibile. È questo l’obiettivo verso i pazienti che si propone l’unità Area Critica Respiratoria inserita nell’Unità Operativa di Riabilitazione Respiratoria dell’Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico San Raffaele Pisana di Roma. L’Unità Area Critica, di cui è responsabile il professor Vittorio Cardaci, dispone di quattro letti e, pur utilizzando personale dedicato, è integrata a tutti gli effetti nella struttura di riabilitazione. «La collaborazione tra noi e l’equipe di riabilitazione del professor Luigi Ferri è fortissima», sottolinea il professor Cardaci. Quale la missione di questa unità? «Innanzitutto - premette il responsabile - precisiamo che non è un reparto di rianimazione, benché usiamo tecnologie e strumenti simili a quelle di questi ultimi. Il nostro scopo è prenderci carico dei pazienti affetti da insufficienza respiratoria acuta stabilizzata che sono stati inizialmente trattati nei reparti di rianimazione degli ospedali. Purtroppo nella maggior parte delle strutture ospedaliere italiane non esistono molti reparti in grado di fare da cuscinetto tra la terapia intensiva e i trattamenti che possono portare alla ridomiciliazione del paziente. Il risultato è che spesso pazienti che hanno superato la fase più acuta dell’insufficienza respiratoria vengono trattenuti nei reparti di terapia intensiva sottraendo posti letto per eventuali nuove urgenze o per i pazienti appena operati. Il nostro obiettivo è quello di ricoverare persone che sono ancora sotto ventilazione meccanica ventiquattro ore su venti quattro e portarle a una stabilizzazione della loro patologia o a un deciso recupero, che può significare il non dover più ricorrere alla ventilazione permanente o addirittura alla sua eliminazione». La definizione più precisa per questa struttura è, quindi, quella di un’unità di riabilitazione intensiva in cui opera un team multidisciplinare formato da medici pneumologi, fisioterapisti, logopedisti, infermieri professionali specializzati e psicologi.
«Quando riceviamo un paziente - spiega il professor Cardaci - vediamo se è possibile, in modo progressivo durante il periodo di degenza, passare da una ventilazione meccanica massimale a una minima, fino alla rimozione della cannula tracheale, la chiusura della ferita e il ritorno alla respirazione autonoma, assistita magari dall’ossigenoterapia.

Nei casi più gravi operiamo in modo che il paziente possa comunque tornare al proprio domicilio, dove disporrà anche qui di varie figure professionali e presidi quali ossigeno e un ventilatore meccanico, in virtù di una raggiunta stabilizzazione della patologia che può permettergli di godere di una migliore qualità della vita nel contesto della sua famiglia e della sua comunità».

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