Terremoti finanziari: si torni al salvadanaio

Gentile dottor Granzotto, vorrei sapere da lei come interpreta i recentissimi fallimenti di importanti banche e istituti finanziari d’oltreoceano. Essendo a reddito fisso e con famiglia a carico, sono molto preoccupato per i miei pochi ma sudati risparmi. Ben sapendo che già molti miei colleghi hanno difficoltà nella ormai tristemente famosa «quarta settimana», non vorrei fare la stessa fine. Come la vede lei?


Be’, caro Martinelli, non è che quello che ho - che abbiamo - sott’occhi mi piaccia poi tanto. Scricchiola tutto: non siamo al si salvi chi può e forse, facciamo le corna, non ci giungeremo mai, tuttavia mala tempora currunt. Orpo se currunt. Che fare? Nelle alte sfere è tutto un battibecco fra chi si proclama seguace della dottrina di John Maynard Keynes e chi di quella di Milton Friedman, fra quelli che dicono: ragazzi, se non vogliamo finire in bolletta bisogna incrementare la domanda dei beni di consumo e gli altri che sostengono il contrario invitando a tirare i remi in barca. Chi ci capisce niente? Chi avrà ragione?
Proprio ieri Arthur C. Broocks, giovane e keynesiano professore di economia, suggeriva di darci dentro colle compere al fine di stimolare la crescita e favorire, oltre il nostro, anche il benessere della Cina e dell’America Latina. Sarà senz’altro così, non lo metto in dubbio, però sono cresciuto in un ambito familiare dove a cominciare dalla nonna si predicavano le virtù del salvadanaio e del passo mai più lungo della gamba. Dispostissimo ad aggiornarmi, a mettermi in sintonia coi tempi, ma resto convinto che tra il pauperismo e lo spendaccionismo a oltranza ci deve essere per forza una via di mezzo. La cui estensione è determinata, altro consiglio della nonna, dallo stato di salute delle vacche. Se magre, si toglie il piede dall’accelerazione dei consumi, se grasse lo si può anche pigiare.
In quanto alla «quarta settimana», siamo sempre lì: vero è che tutto è diventato più caro, ma vero anche che nei tinelli di casa ha fatto irruzione quella faccenda chiamata «comoda rata». Che se non sorella è certamente cugina dei fatali «subprime». «Finanzia i tuoi sogni, realizza i tuoi desideri!» recita lo slogan - uno a caso - del Monte dei Paschi di Siena per pubblicizzare le sue «comode rate» e le sue carte «revolving», che son poi la stessa cosa. Finanziare i sogni a botte di «comode rate» mensili, realizzare i desideri, non farsi mancar nulla è una di quelle cose che danno smalto alla qualità della vita, no, caro Martinelli? Senza dire del danaro che gira, che vortica ossigenando la mitica «crescita» (anche in Cina).
Ma poi arriva, puntuale, la settimana deputata alle scadenze, la quarta, e son dolori: quelle che lì per lì furono simpatiche «comode rate» assumono l’aspetto di odiosa gabella. E giù a lamentarsi che siamo diventati poveri, che mancano i soldi per il latte del pupo, che così non si può andare continuare.

Salvo poi passare davanti ad un’agenzia di viaggi, leggere di un Sharm el Sheik tutto compreso, anche il cocktail di benvenuto, una flute di delizioso champagne egiziano, per comode rate di 169 euri, entrare e prenotare dicendosi: ma è regalato!

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