Politica

TERRORE FISCALE E RECESSIONE

Sembra una piacevole sorpresa estiva. Il fabbisogno di cassa dello Stato nei primi sette mesi del 2006 è sceso, rispetto all’anno precedente, di quasi il 50 per cento. È mai possibile che il ministero dell’Economia non ne avesse avuto segnali tanto che ha continuato a parlare di disastro della finanza pubblica? Forse, allora, non è tutto oro quel che luce. E cosa è mai quel «bonus Visco» di cui parlano alcuni grandi organi di informazione?
Discutendo di finanza pubblica si può facilmente prendere lucciole per lanterne. Tentiamo di mettere ordine. Il fabbisogno di cassa misura la differenza tra entrate e spese dello Stato. La sua riduzione è dovuta essenzialmente a tre fattori: a) il forte taglio che la scorsa Finanziaria ha fatto nei riguardi dei Comuni, delle Province, delle Regioni e delle Imprese; b) una brutale stretta di cassa negli ultimi mesi per cui lo Stato non ha pagato ciò che avrebbe dovuto pagare all’Anas, ferrovie, a Comuni, a fornitori di ogni tipo e così facendo ha trasferito su altri soggetti l’onere del pagamento (di qui la differenza con il fabbisogno della pubblica amministrazione che comprende enti previdenziali, Comuni e Province che si è ridotto solo di 1,2 miliardi); c) un aumento delle entrate di circa il 12 per cento a fronte di una crescita nominale dell’economia (inflazione + incremento del Pil) nell’ordine del 4-4,2 per cento.
Le conclusioni che si possono trarre sono: 1) la riduzione del fabbisogno statale per quella parte legata alla stretta di cassa preannuncia un rimbalzo della spesa nella seconda parte dell’anno; 2) l’andamento del fabbisogno delle pubbliche amministrazioni dimostra che il rapporto deficit/Pil (quello preso in considerazione in Europa) si collocherà intorno al 4 per cento come dato di competenza; 3) l’aumento delle entrate è legato ad una crescita economica che viaggia intorno all’1,5 per cento ma anche ad un effetto di «terrore fiscale» legato alla presenza nel governo di Vincenzo Visco e alle ultime norme inserite nel cosiddetto decreto Bersani.
Le considerazioni finali, allora, sono le seguenti: a) il nome di Visco evoca un terrore fiscale che determina nel breve periodo una iniziale riduzione dell’evasione ma, a parità di pressione tributaria, attiverà subito dopo una depressione dell’economia come avvenne nel 1993 dopo i provvedimenti di Giuliano Amato (blocco dei conti correnti); b) grasso da dividere nei conti pubblici non ce n’è perché gli effetti di miglioramento dei saldi di cassa, al netto dell’aumento delle entrate, in parte sono transitori e per giunta limitati al solo settore statale e in parte contabili. Ultime due domande sulle quali il dibattito non può che rimanere aperto. C’è un’altra via diversa dal terrore fiscale per ridurre l’evasione? Il terrore fiscale prelude ad un più ampio e penetrante controllo della società italiana in tutti i suoi aspetti?
Noi riteniamo che la via maestra per ridurre l’evasione sia da un lato la riduzione della pressione fiscale e dall’altro il contrasto d’interessi (si dovrebbe, ad esempio, poter dedurre parzialmente ciò che si paga al medico, all’avvocato, all’idraulico e così via). Crediamo, inoltre, che alla lunga il terrore fiscale si trasformi in depressione economica e in riduzione delle libertà personali come avvenne nel lontano ’92-’94 quando l’Italia, in relazione alle iniziative delle procure, visse la sua più drammatica recessione con la perdita di un milione di posti di lavoro e con l’avvio di una stagione in cui perse progressivamente competitività in tutti i settori.

Questa, naturalmente, è solo la nostra opinione e siamo pronti a modificarla dinanzi a ragionamenti diversi e più convincenti.

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