Maurizio Cabona
da Venezia
«Non potevo festeggiare in una Mostra dove tanta polizia pubblica e privata cerca un terrorista. Ebbene, quel terrorista sono io». La frase, inviata con un messaggio dal regista francese Jean-Marie Straub e letto dall'attrice Maddalena Daddi durante la conferenza stampa, ha risvegliato la declinante attenzione su una Mostra agli sgoccioli. I dirigenti della Biennale hanno scelto di non commentare. Il regista non era intervenuto alla presentazione del suo film, Quei loro incontri, perché la moglie e co-regista Danièle Huillet è malata grave. Dopo l'incipit politico, un seguito in sintonia: «Finché ci sarà il capitalismo imperialistico americano, non ci saranno abbastanza terroristi nel mondo», ha letto la Daddi. È la parafrasi di ciò che Franco Fortini aveva detto ai tempi della guerra del Vietnam. Ma non era finita. Una citazione di Cesare Pavese - è infatti dagli ultimi cinque Dialoghi di Leucò (Einaudi, 1947) che Straub ha tratto soggetto e sceneggiatura di Quei loro incontri - ha spiegato meglio gli intenti del regista: «Comunista non è chi vuole. Siamo troppo ignoranti in questo paese. Ci vorrebbero comunisti non ignoranti, che non ne guastassero il nome. Quante case di padroni bisogna incendiare, quanti ammazzarne per strada e nelle piazze prima che il mondo torni giusto e noi si possa dire la nostra?».
In una sala dove i giornalisti erano molto meno di quando si sono presentate le produzioni americane, il linguaggio deciso di Straub ha sorpreso orecchie abituate solo a sofismi, allusioni ed elusioni (delle domande). Ma alla Mostra fino al 1968 (quando fu sospesa fino al 1979) questo linguaggio sarebbe stato normale. E Straub è uno che alla Mostra è venuto molte volte nell'ultimo mezzo secolo, anche da giornalista. Però chi ne ascoltava le parole ha un'altra età e in rari casi ne conosceva il percorso di agitatore politico attraverso il cinema. Si noti: in cinquant'anni ogni grosso festival ha ammesso i film di Straub e Huillet, ma sempre nelle rassegne minori. Solo questa Mostra l'ha preso in concorso. La malattia di lei ha tolto a lui il po' di gioia che gli poteva derivare il tardivo (ha settantatré anni) riconoscimento. Ecco come l'invito a concorrere con Quei loro incontri è stato definito da Straub nel suo comunicato di ieri: giunto «troppo presto per la nostra morte, troppo tardi per la nostra vita». Un'amarezza comprensibile, che anche altri registi, tardivamente scoperti dalla Mostra, hanno provato e talora detto: Dino Risi definì infatti il pur gradito Leone d'oro alla carriera del 2002 «un funerale da vivo». Ma Straub non s'è fermato all'amarezza. Ha spiegato anche perché ha accettato la partecipazione del suo film con una battuta della Carrozza d'oro di Jean Renoir: «Una piccola vendetta contro tanti intrighi di corte».
Così il film è finito in ombra rispetto alle parole. Non era certo nelle intenzioni di Straub, che non è Moretti, cercare pubblicità così. Ma l'ha comunque trovata e Quei loro incontri sarà, non per meriti artistici, il suo film più citato dai giornali.
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