Milano«Non lo conosciamo, non era uno che si faceva notare, con noi non centra». È il ritornello che da tre giorni gli inquirenti si sentono ripetere nelle moschee milanesi. Da quando, dopo lattacco alla caserma, si è saputa l'identità dell'attentatore, Mohamed Game. Un leit motiv che assomiglia a un cinico tentativo della comunità islamica di non essere coinvolta.
LIstituto culturale islamico di Milano ha preso subito le distanze, dipingendo come «recenti e discontinue» le frequentazioni di Game in viale Jenner. Invece diverse foto e riprese tv lo mostrano in prima linea nei disordini seguiti alla manifestazione anti burqa di Daniela Santanchè, meno di un mese fa. Abdel Hamid Shaari, presidente del Centro islamico di viale Jenner, insiste: «Cerano migliaia di persone» ma un servizio mandato in onda da Telelombardia lo ritrae proprio accanto a Game. Che in quelloccasione fu perfino intervistato dal Tg5 e svolgeva una sorta di servizio dordine. Difficile ormai dipingerlo come una scheggia impazzita, un emarginato «con problemi mentali» che nessuno conosceva. Una tesi che non convince più gli inquirenti, ora che hanno visto esaminato foto, riprese e altro materiale. Altro che meteora, senza amici e radici, Game vive in Lombardia da almeno sei anni con regolare permesso di soggiorno. Si ragiona poi sulla sua nazionalità. A Milano, infatti, i libici non sono moltissimi, e spesso fanno gruppo. Ad alcuni ricorda la nuova tipologia dellattentatore fai-da-te. Di quelli che condividono lindottrinamento in rete, nei forum jihadisti, dove è piuttosto semplice imparare a costruire una bomba. Ma a incuriosire la Procura, gli uomini dellAntiterrorismo (Digos e Ros) e i Servizi coordinati dallAisi, lintelligence interna, è anche il luogo dove Game ha trovato gli ingredienti per la miscela esplosiva e dove è stato accompagnato in automobile: un Consorzio agricolo fuori Milano, uno dei pochi a vendere quelle sostanze potenzialmente esplosive. È dunque realistico, secondo gli inquirenti, pensare che abbia ricevuto linput da qualcuno per recarsi proprio lì.
Il gip, Franco Cantù Rajnoldi, interrogherà oggi i due presunti complici per la convalida del fermo. Uno dei due è egiziano, assiduo frequentatore di viale Jenner e volto conosciuto in moschea. «Il monitoraggio si dovrà estendere ai piccoli gruppi, o addirittura ai singoli», ha spiegato il ministro dellInterno, Roberto Maroni. Visto che appartamenti come quello perquisito a Milano, dovè stato trovato un laboratorio per fabbricare esplosivi, sono presenti anche in altre zone dItalia.
A Napoli, per esempio, i Servizi sono già stati allertati. Sotto osservazione cè un locale commerciale in vico Soprammuro 82, nei pressi di Porta Nolana, dove poche settimane fa un gruppo di immigrati da Bangladesh e Pakistan avrebbe installato una moschea. Ecco la difficoltà più grande: individuare luoghi di culto non ufficiali, spesso sede di unassociazione culturale dietro cui si cela uno dei tanti cartelli dellislam fondamentalista. Come a Napoli: non è noto il nome dellimam che predicherà lì, a pochi passi dal centro storico, ma già si sospetta già una connessione con il movimento Tabligh Eddawa, una rete internazionale di missionari itineranti, impegnata nella diffusione «porta a porta» della fede islamica. Una setta secondo la rivista dellAisi - caratterizzata da un rigido codice di autodisciplina e dalla volontà di preservare l'identità islamica dalle tentazioni del non-islam. Un estremo rigore che si legge nei rapporti di intelligence - «potrebbe determinare nei soggetti più deboli un atteggiamento di chiusura verso l'Occidente e offrire il fianco a speculazioni da parte di formazioni estremiste interessate al reclutamento per il fronte qaidista».
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