Terrorismo islamico, il processo a Daki da rifare

Il procuratore Spataro: quel verdetto era sbagliato

Enrico Lagattolla

da Milano

Tutto da rifare. Il processo a carico di Mohamed Daki, Abdelaziz Bouyahia e Ali Toumi, i tre islamici accusati dalla Procura di Milano di associazione per delinquere finalizzata al terrorismo internazionale e assolti in primo e secondo grado, torna alla corte d’Appello. Così ha deciso la prima sezione penale della Cassazione, accogliendo il ricorso del sostituto procuratore generale della Repubblica, Laura Bertolè Viale.
Una sentenza che - in attesa delle motivazioni - sembra sconfessare i giudici del tribunale di Milano, per una vicenda che, fin dall’inizio, ha suscitato violente polemiche. Da quando, al termine del processo con rito abbreviato, il gup Clementina Forleo aveva assolto i tre imputati perché «guerriglieri», e non «terroristi». Era il 24 gennaio 2005. I tre islamici, secondo i pm titolari dell’inchiesta Armando Spataro ed Elio Ramondini, avrebbero fatto parte di due cellule (una a Milano, l’altra a Cremona) legate al gruppo integralista iracheno Ansar Al Islam, attive nel reclutamento di «combattenti» da inviare sul fronte di guerra, e nel finanziamento delle attività terroristiche. Non così per il giudice Forleo, secondo cui non poteva «ritenersi provato» che le cellule al centro del processo «pur gravitando in aree notoriamente contrassegnate da propensione al terrorismo, avessero obiettivi trascendenti quelle di guerriglia». Motivazioni, queste, addirittura scavalcate dalla sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Milano. Che, nel confermare l’assoluzione, aveva sostenuto che «l’instradamento di volontari verso l’Irak per combattere contro i soldati americani non può essere considerato sotto alcun aspetto un’attività terrorististica», nemmeno quando «appare chiaro il reclutamento di kamikaze».
«Mi pare evidente - è la reazione del procuratore aggiunto Spataro - che la sentenza della Cassazione confermi quanto la Procura aveva dichiarato a suo tempo, e cioè che ci si trovava di fronte a una sentenza sbagliata». Di tenore opposto il commento del legale di Daki, l’avvocato Vainer Burani. «Aspetto di leggere le motivazioni di questa decisione, che a prima vista mi sembra singolare. In un colpo solo la Cassazione ribalta le precedenti assoluzioni emesse in primo e secondo grado». E dal Marocco, dove si trova dopo l’espulsione dall’Italia, lo stesso Daki si dice «stupito» per una decisione che ribalta due gradi di giudizio. «Veramente non capisco. In primo grado è stato un solo giudice a decidere, ma all’appello erano otto i giudici che hanno esaminato il mio caso. Tutto questo non conta?».
La sentenza della Suprema Corte non resta senza eco. Per Alfredo Mantovano (An), «rende merito alla saggezza di chi, come Pisanu, da ministro dell’Interno del precedente Governo, dispose l’espulsione di Daki perché pericoloso per la sicurezza italiana, nonostante giudici fantasiosi avessero escluso che fosse un terrorista». Perché «il contrasto del terrorismo esige risposte articolate, con giudicanti non faziosi che prendano le distanze dagli errori commessi da loro colleghi nel recente passato, e responsabili della sicurezza nazionale che lavorino in continuità con chi li ha preceduti».
«È un bel giorno per la giustizia». Soddisfatto, il vicepresidente del Senato Roberto Calderoli. Nonostante il dente avvelenato.

«Resta il rammarico di essere stato querelato dal giudice Forleo per le critiche che avevo rivolto alla sentenza di assoluzione. E a questo punto mi chiedo, alla luce di questa pronuncia della Cassazione, se avesse ragione il procuratore o il giudice per le indagini preliminari...».

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