Il fattore Radwan. La milizia di martiri pronta a scatenare un altro 7 ottobre

In un video propagandistico Shukr, leader militare di Hezbollah ucciso, sembra ordinare il lancio di missili ed esalta i 5mila soldati pronti a tutto

Il fattore Radwan. La milizia di martiri pronta a scatenare un altro 7 ottobre
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Fuad Shukr, il comandante militare di Hezbollah, eliminato dagli israeliani il 30 luglio è «riapparso» mercoledì in un video di propaganda del Partito di Dio. Barbetta grigia, sovrappeso, ma in mimetica era stato ripreso probabilmente nel Sud del Libano mentre ispezionava le postazioni dei giannizzeri filoiraniani e i suoi razzi puntati verso Israele. Nel montaggio sembra quasi che Shukr ordini il lancio dei missili, che potrebbero colpire lo Stato ebraico come rappresaglia. L’aspetto più preoccupante è che il video si focalizza, esaltandoli, sui miliziani della Forza Radwan, il corpo di élite del partito armato sciita.

Cinquemila uomini addestrati dai Pasdaran iraniani pronti a infiltrarsi in Galilea per ripetere il tragico 7 ottobre.

Un accademico con il turbante di Hezbollah ha confermato il timore più nefasto di possibili attacchi non solo dal cielo con missili e droni. Sadek Al-Naboulsi ha dichiarato che la Forza Radwan entrerà nella «Palestina occupata» e «la bandiera di Hezbollah sarà issata sulle montagne della Galilea e sulla cupola della moschea di Al-Aqsa» a Gerusalemme. Al-Naboulsi garantisce che Hezbollah invaderà il nord di Israele piuttosto che «far entrare i sionisti sul suolo libanese». La possibilità di un attacco preventivo dello Stato ebraico non è escluso e potrebbe riguardare sia il Libano che l’Iran.

L’ultimo video propagandistico con la «riapparizione» di Shukr assomiglia al preavviso della rappresaglia. I «martiri» della brigata Radwan non hanno paura di morire a tal punto che all’inizio vengono ricreate due lunghe file di bare gialle, colore di Hezbollah, sulle sponde di un fiume coperte di fiori fino al Paradiso di Allah. Subito dopo entrano in scena le truppe d’élite ben equipaggiate. Non mancano i droni che sorvolano minacciosamente città israeliane o colpiscono obiettivi militari. Hezbollah dall’inizio della settimana sta lanciando i nuovi velivoli suicidi di ispirazione iraniana, Shahed 101. Le postazioni dei razzi spuntano da bunker sottoterra e i Rambo della brigata Radwan girano in sella a moto da cross o Quad, utili per incursioni nel territorio collinare della Galilea.

In occasione della prima rappresaglia iraniana nella notte fra il 13 e 14 aprile, i comunicatori di Hezbollah hanno prodotto un altro video che oltre alla propaganda nasconde un allarmante messaggio. Il filmato riprende una specie di centrale delle operazioni nascosta chissà dove, che assomiglia a un vero e proprio comando strategico. Per di più congiunto dell’Asse della resistenza, ribattezzato del «male». Ogni uomo in divisa con volto e altri dettagli oscurati porta in bella vista sulla giubba il simbolo di appartenenza, Hezbollah, Hamas, Houthi, Jihad islamica e alleati in Siria e Iraq. Tutto attorno ci sono mappe, schermi, sistemi di comunicazione, come una vera centrale coordinata di comando e controllo.

Almeno da dieci anni Hezbollah minaccia di conquistare Gerusalemme, ma i piani di attacco come il 7 ottobre esistono veramente. Il perno delle infiltrazioni via terra è la brigata Radwan composta inizialmente da 2.500 uomini, che sarebbero raddoppiati prevedendo cinque direttrici d’attacco, che taglierebbero fuori il Nord della Galilea con assalti via terra e via mare.

Nella guerra di attrito a Nord si contano già 7.500 razzi, droni o missili anticarro lanciati da Hezbollah e 4mila attacchi dal cielo o con l’artiglieria degli israeliani in territorio libanese, che avrebbero eliminato 400 combattenti di Hezbollah compresi 10 ufficiali della Forza Radwan. Anche 100 civili libanesi sono rimasti uccisi e 43 israeliani, meno della metà militari.

Lo stemma di Radwan è un cedro libanese, una spada e un leone ruggente, che viene esaltato nelle immagini dell’ultimo video di Hezbollah con un chiaro messaggio: «Combatteremo fino a quando la Palestina non sarà libera».

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