Sui social non esiste solo il ban, ossia l'eliminazione coatta del profilo per una violazione, reale o presunta che sia, delle linee guida. Spesso le violazioni sono per lo più didascaliche e i ricorsi che vengono avanzati contro i proprietari dei social hanno successo. Ma al di là di questo provvedimento estremo ne esiste un altro significativo strumento che viene spesso adottato quando si ritiene che un profilo violi la netiquette: lo shadowban. Si tratta di uno strumento che non elimina il profilo ma toglie del tutto, o quasi, la visibilità. Pare che in queste settimane durante le quali è esploso il conflitto in Israele si stia facendo largo uso di questo strumento. O meglio, a riferire di possibili shadowban sono gli utenti schierati pro-Palestina a denunciare l'oscuramento.
"Ho fatto una storia, la vedono in 4", denunciano gli utenti contro Instagram. Secondo loro, infatti, basterebbe che il sistema automatico degli algoritmi veda un movimento in favore della Palestina per finire in shadowban. Per tale ragione, gli utenti stanno iniziando a usare l'algospeak, ossia il linguaggio "friendly" che aggira i blocchi degli algoritmi. Questo porta a camuffare le parole per evitare di incappare nell'oscuramento. 1sr43le, H4m4s, P4l3st1na sono i modi in cui vengono scritti i nomi per evitare di incorrere nel blocco del sistema.
"Instagram e Facebook bloccano attivamente i post sulla storia *fattuale* di Israele/Palestina, a volte mascherando il tutto come ‘problemi tecnici", ha scritto l’Hampton Institute, think tank di sinistra radicale statunitense, che prende il nome dal leader Black Panther Fred Hampton. Come riporta il Fatto quotidiano, l'istituto ha riportato alcuni esempi di video che sarebbero stati bannati. Ali Abunimah, direttore del sito di informazione pro-palestinese Electronic Intifada, Norman Finkelstein, storico dell’intifada e autore de L’industria dell’olocausto. Dal 2008 Finkelstein non può entrare in Israele perché accusato dal governo di avere contatti con Hezbollah.
Altre accuse sono piovute anche da Shaun King, noto attivista del movimento Black Lives Matter e scrittore, secondo il quale basta mettere un like a
un post pro-Palestina per incorrere nello shadowban. Tuttavia, c'è anche da sottolineare che questa strategia di cambiare le parole viene utilizzata anche per camuffare gli attacchi antisemiti contro Israele e gli ebrei.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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