Mentre l'Australia si trova a fare i conti con un inferno improvviso, i dettagli sulla sparatoria che ha coinvolto padre e figlio stanno lentamente emergendo, dipingendo un quadro inquietante di radicalizzazione silenziosa e dinamiche familiari complesse.
Il giovane tiratore, Naveed Akram, 24 anni, è stato arrestato dalla polizia dopo aver partecipato all'attacco che ha visto la morte del padre Sayd, coautore della sparatoria. Secondo le autorità, il cinquantenne, appassionato di armi, deteneva regolarmente sei tra pistole e fucili, ma la sua partecipazione all'attacco non è stata una sorpresa per le forze dell'ordine che lo avevano attenzionato da almeno quattro mesi. Il commissario di polizia del Nuovo Galles del Sud, Mal Lanyon, ha dichiarato che le indagini sono ancora nelle fasi iniziali e ha evitato di commentare sull'opportunità di aver permesso al padre di detenere armi da fuoco, definendo prematuro qualsiasi intervento sul tema. Lanyon ha però ribadito l'intenzione di approfondire ogni aspetto dell'attacco e di evitare speculazioni premature: «Vogliamo arrivare alle circostanze di tutto ciò che è accaduto ieri e a ciò che l'ha scatenato», confermando che la polizia sta cercando di raccogliere informazioni precise e accurate, anche e soprattutto su piste legate al mondo jihadista.
In un paese come l'Australia, che negli ultimi anni ha visto crescere il dibattito sulla radicalizzazione e sui legami con gruppi jihadisti, l'attacco di Bondi ha portato l'attenzione su un fenomeno inquietante: la radicalizzazione silenziosa. Gli Akram, una famiglia di origine pakistana, incarnano il volto più disturbante di questo fenomeno. Sebbene la biografia di Naveed, che vive a Bonnyrigg e frequenta l'università, sembrasse ordinaria, l'attacco è stato un segnale di un processo di radicalizzazione che si è sviluppato lontano dagli occhi dei vicini e delle istituzioni. Accanto a lui, il padre, 50 anni, figura centrale nell'attacco, è stato coautore di un gesto che lascia più domande che risposte.
Secondo le prime informazioni raccolte, la moschea sunnita di Lakemba, uno dei luoghi di culto più grandi e controversi di Sydney, potrebbe essere stata un punto di convergenza per la famiglia Akram. Recentemente al centro di polemiche politiche, la moschea è stata coinvolta in dibattiti accesi, specialmente dopo gli attacchi del 7 ottobre in Israele. È proprio in questo contesto che è emersa la figura dell'imam libanese Yahya Safi e dell'organizzazione Hizb ut Tahrir, strettamente legata al terrorismo internazionale, e cellula del Califfato Islamico. Fonti dell'intelligence suggeriscono che gli Akram potrebbero aver avuto connessioni con questo gruppo, che promuove un'ideologia radicale e antidemocratica.
La sparatoria di ieri non sarebbe quindi solo il risultato di un'escalation familiare, ma parte di un movimento più ampio che si nutre di tensioni geopolitiche e trova terreno fertile in una società multiculturale come quella australiana. Le autorità stanno cercando di capire se l'attacco sia stato pianificato da tempo o un'esplosione di violenza improvvisa.
Il commissario Lanyon ha
sottolineato che le indagini continueranno a fondo, ma ha anche avvertito che si sta parlando di un'area grigia, che potrebbe includere radici profonde di radicalizzazione che si sviluppano in modo subdolo e impercettibile.