L'attacco alla Sinagoga di Manchester va oltre ogni comprensione. È un crimine d'odio su base religiosa, purtroppo figlio di un clima che si sta diffondendo a macchia d'olio in tutta Europa dove, evidentemente, il germe dell'antisemitismo non è mai stato eradicato per davvero. E lo spiega bene Leah Benoz, giornalista ed ebrea, originaria di Manchester, che con un breve, seppure intenso, video, ha voluto inchiodare i suoi concittadini a una responsabilità collettiva.
"Avevo intenzione di non rispondere a questo fino alla fine dello Yom Kippur perché sentivo che non avrei dovuto lasciarmi distrarre, ma non riesco a concentrarmi, quindi lo farò ora. Manchester è la mia città natale, è dove sono andata all'università. È dove, da giovane giornalista, una delle mie prime grandi storie fu l'attentato di Manchester, l'attentato all'Arena di Manchester", ha spiegato Benoz ricordando una delle più grandi tragedie recenti. Il 22 maggio 2017, nel foyer della Manchester Arena, un ordigno è stato fatto esplodere subito dopo la conclusione di un concerto di Ariana Grande. I morti furono 22, circa 100 i feriti, e a compiere l'attacco fu un kamikaze, Salman Ramadan Abedi, affiliato all'Isis, che rivendicò l'attentato.
"Quello che ricordo di quel periodo, quello che mi colpì allora e mi è rimasto impresso, è che la città si unì. Non ci fu nessuna deriva nel razzismo, non ci fu alcun linguaggio di esclusione. Quel giorno rimanemmo uniti. Ed eravamo orgogliosi della nostra città e di chi eravamo e della nostra comunità inclusiva, calorosa e amorevole, non importa da dove venissi o chi fossi o quale fosse la tua religione, o quale fosse la tua convinzione: eravamo tutti insieme come Mancunians (abitanti di Manchester, ndr)", ha proseguito la giornalista lasciando intendere che, invece, ora qualcosa sembra cambiato.
Sono passati 8 anni da quell'attentato ma il tessuto sociale di Manchester non sembra più così forte. Benoz, quindi, cita "Don't look back in anger" degli Oasis e "There is a light here that never goes out" dei The Smiths in modo non casuale, canzoni diventate in quel periodo una promessa collettiva, un impegno a non cedere alla divisione o all'odio. "Beh, quella luce si è appena spenta, non è vero, Manchester? Cosa avete fatto? Perché la colpa è di tutti voi. Lo è. Non è solo una persona. Una persona ha compiuto quest'azione. Una persona si è assunta la responsabilità di compiere quest'azione, ma ognuno di voi che è stato o attivamente impegnato in questa retorica violentemente antisemita. E no, non ci nasconderemo dietro il fatto che è anti-sionismo", ha proseguito con un misto di amarezza e delusione nei confronti di una città che ha tradito il proprio spirito e l'unità che aveva mostrato in quel momento critico.
"L'anti-sionismo è la forma più genocida di antisemitismo. Comporta la distruzione dell'unico stato ebraico al mondo, questo è antisemitismo. Non ho più intenzione di giocare a quel gioco. Se siete stati attivamente coinvolti in questo o se siete stati in silenzio e lo avete permesso, questo sangue è sulle vostre mani. Questo è ciò che avete fatto. Tutti voi. Non mi interessano le maggioranze silenziose. Non sto dando premi per un sostegno silenzioso. Una maggioranza silenziosa non ci è di alcuna utilità", ha proseguito Benoz con una invidiabile calma, dietro la quale, però, è evidente il dispiacere verso una città che ha tradito anche la sua fiducia.
"Abbiamo gridato per due anni che questo sarebbe successo, che eravamo in pericolo, che la situazione stava peggiorando, che stava diventando più pericolosa, e ora siamo qui. Nella mia città natale, nella mia comunità. Cosa farete ora?", ha concluso la giornalista, rivolgendo una domanda che è destinata a rimanere senza risposta.