Terrorista arrestato dagli Usa, liberato dai nostri pm

Terrorista arrestato dagli Usa, liberato dai nostri pm

MilanoE adesso ne manca uno solo. Poi i tre estremisti islamici consegnati all’Italia dagli Stati Uniti nel novembre del 2009 saranno tutti liberi. Per primo era uscito Ben Mabrouk Adel, tunisino, già barbiere della moschea milanese di viale Jenner, condannato dalla giustizia italiana per terrorismo internazionale ma ad una pena assai blanda, per ricompensarlo in qualche modo del periodo passato a Guantanamo, e subito scarcerato. Ieri tocca a Riad Nasri, tunisino anche lui, e la cosa è ancora più notevole perché l’ultrà viene addirittura riabilitato: la Corte d’assise d’appello di Milano lo assolve, annullando la condanna a sei anni che gli era stata inflitta in primo grado, e ordinando la sua immediata liberazione. Se il verdetto dovesse venire confermato in Cassazione, per Nasri si aprirebbe anche la possibilità di chiedere allo Stato italiano il risarcimento dei danni per i tre anni passati ingiustamente nelle celle italiane.
La riconsegna dei tre fondamentalisti all’Italia era avvenuta all’interno della svolta garantista della presidenza Obama: andato al potere promettendo tra l’altro la chiusura del carcere di Guantanamo, il nuovo inquilino della Casa Bianca si era poi rimangiato la promessa, ma aveva comunque cercato di sfoltire le celle del supercarcere smistando qua e là per il mondo una parte dei suoi inquilini. All’Italia ne erano stati consegnati tre: Ben Mabrouk Adel, Riad Nasri e Moez Fezzani. Gli americani li avevano scaricati una mattina di novembre da un volo militare sulla pista di Malpensa, senza fornire tante spiegazioni sulle cause e le modalità della loro cattura e della loro prigionia.
I tre erano ricercati dalla Procura di Milano per terrorismo internazionale, chiamati in causa dal «pentito» Tilli Lazar come autorevoli esponenti del «Gruppo salafita per la predicazione ed il combattimento». A nessuno dei tre venivano addebitati episodi di terrorismo programmati in Italia. Ma tutti e tre, nella ricostruzione della Procura milanese, facevano parte a pieno titolo della struttura logistica della jihad internazionale, quella che aveva trasformato l’Italia - e soprattutto Milano - in una fertile riserva di uomini e di soldi per i campi di addestramento e di battaglia. Nella moschea milanese di viale Jenner, hanno accertato le indagini, venivano indottrinati e reclutati i «dannati della terra» destinati a diventare mujaheddin.
Dei tre, il miliziano prosciolto e scarcerato ieri, Riad Nasri (che ha alle spalle anche un ruolo di combattente in Bosnia), ricopriva la posizione preminente. Nasri - secondo la sentenza che l’anno scorso lo aveva condannato a sei anni di carcere - era senza ombra di dubbio il gestore della «casa dei tunisini» in Afghanistan, dove gli estremisti provenienti da Milano venivano addestrati e mandati a combattere contro le truppe dell’Alleanza occidentale (italiani compresi). Una volta consegnato all’Italia, Nasri aveva giurato di essere andato in Afghanistan solo per sposarsi.

Era stato invece ampio e dettagliato - anche se con toni singolarmente soft - invece, sul racconto delle torture che gli sarebbero state inflitte durante gli otto anni passati a Guantanamo. I giudici di primo grado non si erano lasciati commuovere, e lo avevano condannato. Ieri, la Corte d’appello presieduta da Luisa Dameno lo assolve e lo scarcera.

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