Il terrorista fai da te che svela il falso mito dell’islam buono

SCONTRO TRA CULTURE Il musulmano si sente sempre in conflitto contro l’Occidente

Mohamed Game, il libico che ha fatto esplodere l’ordigno all’interno della caserma milanese di via Perrucchetti, era all’apparenza un campione di quell’islamismo ragionevole, tollerante e dialogante che il politicamente corretto oppone all’islamismo fondamentalista e bombarolo. Veste all’occidentale e in maniera impeccabile, talvolta anche in giacca e cravatta. Ha un lavoro, il regolare permesso di soggiorno e mai ha dato una grana ai condomini dello stabile dove (da abusivo) abita. Frequentava la moschea e il centro islamico di viale Jenner, crogiolo di pacifismo, di civismo, di tolleranza e di volontà di dialogare, a sentire l'imam Abdel Hamid Shaari, che ne è il capo. Insomma, come assicurano i vicini di casa e lo stesso Abdel Hamid Shaari, Mohamed Game «sembrava una persona per bene». Anche i pakistani autori dei due attentati alla metropolitana di Londra, uno mandato a segno (52 morti e circa 600 feriti), l’altro sventato, sembravano proprio delle brave persone. Tra loro c’erano addirittura pachistani nati e cresciuti in Inghilterra. Mai dato un fastidio, mai alimentato un sospetto e anzi, portati ad esempio del successo dell’integrazione multietnica, multiculturale e multireligiosa. E infatti al kebab preferivano fish and chips e Elton John a Um Kathum, la «voce di Allah»: cosa si poteva pretendere di più?
Commentando - e condannando, va da sé - l’attentato, Abdel Hamid Shaari ha detto che «solo una mente disturbata può concepire una cosa del genere». È probabile, anche se quella della infermità mentale è una scappatoia logora, per quanto se ne abusa almeno in prima battuta. Può dunque darsi che Mohamed Game abbia dato di matto e che in tale stato sia andato ad acquistare il nitrato e gli altri composti necessari a costruire una bomba, rudimentale quanto si vuole ma sempre in grado di uccidere. Sull’argomento il direttore della Polizia di Prevenzione, Carlo De Stefano, è stato molto chiaro: «L'attentato presenta aspetti di gravità e di virulenza che fanno ipotizzare che l’obiettivo dell’attentatore fosse quello di provocare vittime». Un comportamento strano anche per chi ha la mente disturbata, ma ammettiamo pure che sia così. Però bisogna riconoscere che Game non era disturbato al punto di scegliere come obiettivo una caserma. E di recarvisi intorno alle otto, sapendo che a quell’ora i cancelli sono aperti per permettere il via vai delle automobili. E decidendo di fare esplodere l’ordigno - anche questo un caso? - il 12 ottobre in modo tale da richiamare un altro 12, ovvero quel giorno di novembre 2003, data del sanguinoso attentato di Nassiriya.
Certo, non bisogna drammatizzare: Game quasi sicuramente non appartiene a una rete terroristica e non sembra proprio essere un militante di Al Quaida e simili. Resta però il fatto che, al dunque, il discrimine fra islam «buono» e islam fondamentalista si presenta molto, molto labile. Quasi inconsistente. Perché anche in giacca e cravatta l’islamico si sente sempre in conflitto, impegnato almeno spiritualmente nel jihad contro l’Occidente.

È quello che si definisce lo scontro fra culture e che molti s’intestardiscono a negare nel nome di una utopistica fratellanza universale. Ma che Mohamed Game, cittadino libico, pur nella sua mattana, pur se sembrava in tutto e per tutto «una persona perbene», pur da cane sciolto puntualmente conferma.

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