Terzani, un film testamento che si riduce a predica noiosa

Terzani, un film testamento che si riduce a predica noiosa

di Claudio Siniscalchi

Cosa è la noia del cinema d’autore europeo? Semplice risposta: per rendervene conto andate a vedere La fine è il mio inizio. Parole in libertà, lunghi silenzi, dialoghi verbosi, inquadrature fisse, scarsa predilezione per il racconto, quasi totale immobilità dei protagonisti.

E poi l’approssimarsi della morte, l’incomunicabilità generazionale, l’immancabile scontro tra padri e figli, la passione giovanile per l’ideologia, la meditazione della maturità scaturita dal confronto con la spiritualità orientale. La fine è il mio inizio narra gli ultimi giorni di un «guru» del «politicamente corretto» nostrano, il giornalista-scrittore fiorentino Tiziano Terzani, amato dagli italiani come dai tedeschi (per lungo tempo ha collaborato con l’autorevole Der Spiegel). Infatti il padre e il figlio che si ritrovano in un angolo della Toscana (un corno dell’Appennino riadattato ad isola felice in stile tibetano) per il chiarimento finale, sono un grande attore tedesco (Bruno Ganz) e una giovane promessa del cinema italiano (Elio Germano). Il regista bavarese Jo Baier per il suo film ha tratto ispirazione dal libro omonimo di Terzani, apparso dopo la morte dell’autore (avvenuta nel 2004), confezionato dal figlio Folco. Folco vive all’estero e rientra a casa per accompagnare il padre, da tempo malato di cancro, col quale non si è sempre capito, nell’ultimo tratto della vita terrena. Il genitore, nato povero, gli ricorda come abbia saputo trasformare la rabbia dell’adolescenza in giornalismo e viaggi alla scoperta di luoghi meravigliosi. Da bambino andava a guardare i «signori» mangiare il gelato nella grande piazza fiorentina con lo storico caffè Paskowski, ritrovo di artisti e belle donne.

L’emancipazione l’ha raggiunta attraverso il giornalismo, che gli ha schiuso le strade del mondo. Approdato in Oriente quando da lì sembrava stesse venendo la medicina adatta per curare i tanti mali dell’Occidente, il protagonista è rimasto inebriato dall’entusiasmo ideologico (voleva chiamare il figliolo Mao, poi fortunatamente ha ripiegato sul toscanissimo Folco) e dalla rilassante spiritualità. La scrittura di Terzani col trascorrere del tempo si è raffinata.

L’impressionismo cronachistico ha assunto i toni della letteratura e della meditazione religiosa. La figura corporea di Terzani-Ganz, barba bianca abbinata al candore della lunga veste, sta andandosene. Ma nessun dramma: continuerà a sopravvivere, restando nella memoria dei cari. E allora rilassiamoci, facciamoci una bella risata sulla inevitabile caducità dell’esistenza terrena, poiché c’è una vita oltre la vita, rappresentata dalla ricongiunzione con la potenza straordinaria dello spirito del mondo. Volgendo lo sguardo al passato, al «grande viaggio della vita», si ha la possibilità di capire cosa si è stati, quanto di buono si è fatto. La rabbia dell’abbandono si rivolge così in dolcezza. La morte può trasformarsi da fiele in miele. È una predica? Esatto, La fine è il mio inizio è un’oretta e mezza di predica, in salsa buddista. E se proprio non vogliamo parlare di predica, diciamo che si tratta di un più nobile «testamento spirituale». Il padre racconta al figlio, pescando nella memoria brandelli di ricordi famigliari, e passaggi di boa determinanti verificatisi nel tempo. Così il giovane potrà capire il senso dell’esistenza. Qualche parola in più sulle valutazioni sbagliate occorsegli durante il pellegrinaggio terrestre, in riferimento al ruolo del «grande timoniere» Mao, o alla mattanza dei Khmer rossi in Cambogia, potevano pure essere spese. Ma tant’è: nessuno è perfetto. La sconfitta umiliante dell’imperialismo americano in Vietnam e il futuro radioso assegnato al laboratorio sociale maoista, gli avevano appannato lo sguardo, rimasto velato sino alla fine. Ora il motivo per cui girare un lungometraggio su un’esistenza comunque particolare, è facile da capire.

Lo si capisce osservando come Tiziano Terzani, dopo la presbiopia ideologica, sia stato abile nel gettarsi a capofitto nel fiume letterario del pacifismo, del vegetarianismo, delle filosofie orientali, delle spiritualità tibetane. Ma allora, in definitiva, se proprio si decide di girarlo un film come La fine è il mio inizio, perché si deve scegliere la via della noia?

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