Notizie dal centro. Casini è tra i pochi che ancora giura di averlo visto. Fini, dopo Silvio, farà il secondo anche al genero di Caltagirone. Si sta costruendo un futuro da Alessandrelli, leggendaria riserva di Zoff, l’unica volta che giocò uno spezzone di partita prese tre gol. A Bologna, dove sono nati, pesano il cinque per cento. Peggio di Grillo. A Milano non pervenuti. A Napoli sfruttano la delusione della sinistra post «Bassojervoliniana». A qualcuno toccherà perfino votare De Magistris. L’impressione è che finiani e casiniani, prima alleati e poi alternativi al Cav, non sopravviveranno al dopo Berlusconi. Sono attori non protagonisti di un finale di partita. Si vedrà.
Di certo c’è che il terzo polo esiste solo sulla carta. Ne parlano i giornali. È una proiezione, un caso letterario, un avatar politico, ogni volta che si va a votare si scopre che è rarefatto, un’idea senza carne e un pugno vago di percentuali. E questa è una maledizione. Non serve ascoltare quello che dicono in tv Bocchino o Della Vedova. Quasi sempre è più utile sentire la base. Non brindano e neppure piangono. Si interrogano.
Che fare? Un «futurista» scrive su Facebook: «Non ci sono più mezze misure. O stai con la Santanchè o stai con De Magistris. Scegli». È più di una fotografia. È il sentimento che si respira lì al centro, in una sorta di stretto, un incrocio, un testa o croce per scegliere il prossimo destino. Quello che però continua a mancare a questo terzo polo è un’identità meno ballerina. Alla fine tutto si riduce ad un «dimmi con chi va e ti dirò chi sei». Non è il massimo per chi sognava di fare il futuro.
Il centro resta un nucleo debole, instabile, con un rischio continuo di scissioni e defezioni. Lo conferma anche il dibattito post elettorale. La voce degli antiberlusconiani, sempre più armati di rabbia ideologica, si alza in fretta. Il ballottaggio è l’occasione per chiarirsi le idee.
La linea è chiara. Tra il Cavaliere e un redivivo Bin Laden loro non avrebbero dubbi su chi votare. Tutti, anche la morte, è meglio di Berlusconi e dei suoi «servi». Non gli interessa vincere. Non sono neppure più tanto legati all’idea di costruire una destra diversa. L’unica cosa che conta è vedere Berlusconi al tappeto: sconfitto, ghettizzato, bestemmiato. È il terzo polo che sogna Granata. È quello che ormai teorizza Filippo Rossi. È la scommessa di Bocchino, che radicalizzando lo scontro tiene sotto controllo il partitino. Bocchino, per capirsi, non è un antiberlusconiano ideologico. La sua è solo una scelta tattica. Serve a cacciare i suoi avversari interni. Ci riuscirà. Il guaio di Italo è che resta ancora il numero due di un piccolo villaggio della Gallia. E il numero uno non assomiglia a Cesare.
La coppia «moderata» Urso e Ronchi spera ancora di riportare i finiani dalle parti del Pdl. Non sanno che continuano a remare contro l’orgoglio ferito del loro capo. Fini ha rotto con Berlusconi soprattutto per ragioni umane, personali. La rabbia lo porta sempre a condividere le trame di Bocchino. Come molti «finiani» il suo obiettivo politico è vedere Berlusconi in ginocchio. Su ogni strategia pesa l’istinto della vendetta. Il dilemma è accelerare la fine o dargli un’ultima mano per ereditare un pezzo di destra? Urso e Ronchi ogni giorno gli indicano questa strada.
Tutte le volte vengono smanacciati dal finiano di turno, mai da Fini che continua a nutrirli di chicchi di speranza come due cardellini in gabbia. Non si capisce perché si ostinano a restare in un partito che li disprezza.
Perfino Casini li ha cancellati: «Io parlo solo con Fini e Bocchino». Il grande centro è questo: quattro gatti che se si incontrano non si riconoscono. Il bello è che sono tutti contenti. Alla fine dei conti godono della sconfitta di Berlusconi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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