Roma«Berlusconi si deve dimettere». E su questo le opposizioni sono tutte d’accordo. Dal Pd a Gianfranco Fini, passando per l’Udc, lo tsunami di carte si è puntualmente trasformato in un’onda anomala politica, con tutti i leader mobilitati per chiedere al Presidente del consiglio un passo indietro.
Su cosa debba succedere dopo, le ricette e le strategie non potrebbero essere più discordanti. Da una parte il Partito democratico, ingessato dalle beghe interne e, di fatto, ancora allergico alle urne; dall’altra il Terzo polo, nel ruolo inedito di chi è pronto sfruttare l’effetto delle carte dei tribunali. E - anche in questo caso prendendo una posizione senza precedenti per quell’area - tentato dal voto.
Un sorpasso più che altro ai danni del Pd, iniziato con una raffica di dichiarazioni contro il premier. Pier Ferdinando Casini, ha puntato sulla «grandissima difficoltà» del Paese e sul «discredito internazionale» dopo il caso Ruby. Fini, ancora più duro del leader Udc, ha attaccato il premier: «È l’unico che si diverte», gli italiani invece sono «sconcertati per la gravità delle accuse che sono state mosse al presidente Berlusconi».
Ha l’impronta del leader di Fli, il documento unitario del Terzo polo uscito dopo una riunione dei partiti centristi alla fondazione Farefuturo, nella quale si dice che, se Berlusconi non sarà in grado di rispondere in Procura, dovrà dimettersi. Ma che, se non lo farà, meglio andare alle elezioni per permettere agli elettori di «realizzare il cambiamento necessario e urgente». L’alternativa è, insomma, quella tra l’ esilio volontario del premier e il voto. Difficile non vedere dietro al documento e all’annuncio che alle amministrative i partiti centristi presenteranno liste comuni, i sondaggi, come quello pubblicato ieri dal sito di Repubblica che dà il Terzo polo intorno al 14 per cento.
Ma lo sprint di Udc e Fli è da leggere soprattutto come un tentativo, riuscito, di togliere la ribalta al Partito democratico. Ieri il segretario Pier Luigi Bersani ha fatto una marcia indietro rispetto ai rumors che davano il Pd, dopo vari tentennamenti, deciso a non escludere le urne. Motivazione ufficiale del segretario: «Noi non togliamo a Berlusconi le castagne dal fuoco». In realtà la non scelta è da leggere con una chiave tutta interna. Bersani non vede male il voto anticipato, perché gli permetterebbe di rimanere in sella e interrompere i movimenti dei suoi oppositori, Veltroni in testa.
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