Un test della saliva per sapere in 2 minuti se si è sieropositivi

«No, tanto io non ce l’ho. Non sono mica gay o tossico». Dicono sempre così, ma in realtà - spiegano i medici - nessuno che abbia avuto rapporti sessuali non protetti può dirsi sicuro al cento per cento di non aver contratto l’Hiv. Per questo, l’appello lanciato dal San Raffaele è «se è un po’ che non lo fai, è il momento di fare un controllino».
L’occasione è l’arrivo nei giorni scorsi dagli Stati Uniti il test della saliva. Niente esami del sangue, solo un tampone e in due minuti si è già in grado di sapere se le nostre cellule hanno contratto il virus. I dati a disposizione sono allarmanti: 1 sieropositivo su 4 non sa di esserlo e ogni giorno in Lombardia c’è un nuovo contagiato. Più della metà delle donne sieropositive, poi, sono state infettate dal marito infedele e l’hanno scoperto soltanto diversi anni dopo.
«Quello che sappiamo con certezza è che con l’infezione da Hiv oggi si può vivere in modo normale - dicono al Dipartimento di malattie infettive del San Raffaele - perché è una malattia che si riesce a tenere sotto controllo. Al contrario, averla senza saperlo è davvero pericoloso, per se stessi e per gli altri. Il test rapido salivare, registrato dall’Unione Europea, ma non ancora commercializzato in Italia (In America si può comperare in farmacia e costa 15 dollari) sarà eseguito dal personale tecnico messo a disposizione dal Dipartimento di Malattie Infettive. Con uno speciale spazzolino da denti, si prende un campione di saliva e gli indicatori che sono sul tampone segnalano se nell’organismo si sono sviluppati gli anticorpi contro l’Hiv. Nei casi dubbi o positivi, la persona esaminata sarà sottoposta a un rapido prelievo del sangue. La risposta al test verrà data dal personale medico dedito all’iniziativa. E, in caso affermativo, l’interessato sarà indirizzato tempestivamente alle strutture competenti. Prima, dopo e durante il test esperti psicologi e volontari delle associazioni Anlaids e Milanocontrolaids garantiranno un adeguato accompagnamento e sostegno psicologico a tutti coloro che vorranno sottoporsi al test.
Secondo le stime, sono circa 40mila gli italiani sieropositivi che ancora non sanno di esserlo. Contagiati dall’Hiv senza averne coscienza, finiti nella rete del virus per il rapporto di una sera con un partner sconosciuto, e che si trasformano a loro volta in «untori». A loro gli infettivologi imputano fino al 75 per cento delle nuove infezioni. «Il problema è che nessuno fa il test - spiega Mauro Moroni infettivologo e presidente Anlaids Lombardia -. Succede a 6 sieropositivi su 10, che scoprono l’infezione in ritardo anche di 5-7 anni». La conseguenza? La scoperta tardiva del contagio si ripercuote sul piano epidemiologico, clinico-terapeutico ed economico.
È anche un problema di salute pubblica e di economia sanitaria. Le persone che cadono nella rete dell’Hiv non guariranno mai più, dovranno curarsi e le cure per ognuno di loro costano dai 20 ai 30 mila euro l’anno», sottolinea lo specialista.

«La piaga della sieropositività sommersa richiede delle campagne di informazione pressanti e continue che purtroppo mancano. Bisogna promuovere il test». E su questo fronte, conclude l’infettivologo «chiede la collaborazione dei medici di medicina generale».

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