Il testamento mediatico

Il testamento biologico lo conosciamo: è una carta in cui mettere per iscritto i trattamenti sanitari ai quali vorremmo essere sottoposti (o non vorremmo) nel giorno in cui non fossimo più in grado di deciderli da soli. In Italia non esiste ancora, ma credo che passerò dal notaio per sottoporgli almeno un testamento mediatico. L’idea è quella di una carta dove si possano pre-vincolare i propri comportamenti, le dichiarazioni, le interviste televisive proprie o dei propri familiari: il tutto nella disgraziata ipotesi che dovessi ritrovarmi al centro di un episodio di cronaca nera, di quelli che fanno impazzire i mass media ma fanno orrore a me. Nessuno può sapere in che stato psichico sarebbe ridotto dopo una tragedia che lo toccasse da vicino, e neppure io, dunque, posso conoscere quanto rimarrebbe della mia capacità di sottrarmi al mostro mediatico ansioso di sapere «che cosa provo».

Posso solo conoscere, e stra-conosco, quanto può essere famelica la mia categoria quando il lavoro che gli è stato ordinato è strappare interviste, fotografie, conversazioni citofoniche, confessioni intimistiche, reperti, lacrime. Cedere è un attimo, il compatimento mediatico è pronto a sezionarti, esporti, asciugarti la lacrimuccia salvo poi risputarti fuori. Piuttosto la morte.

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