Il testimone Quello schiaffo sotto il soffitto viola

Caro Massimiliano, scusami se ti disturbo con una letterina, ma mi pare ne valga la pena. Non so perché ma le nostre simpatiche inchieste e i nostri ricordi delle «case di tolleranza» a Genova hanno riscosso un incredibile successo. Oltre alle lettere arrivate in redazione, molte sono giunte anche a me personalmente.
Che sarà mai successo? Genova è vecchia a tal punto che ama solo vivere nel passato? O invece la storia dei «casini» fa parte di un’epoca e di un pezzo di gioventù di tanti genovesi, antiche memorie che è un peccato dimenticare?
Fra le molte lettere, una particolare, di poche righe vorrei riportare: quella del noto professor Sergio La China, che fu mio compagno a Legge e che oggi ancora svolge egregiamente la professione di avvocato e di professore, oltre ad avere pubblicato recentemente un bellissimo volume sul tema dell’universo femminile. Mi scrive La China: «Caro Vittorio, grazie per i tuoi ottimi articoli sulle “case”: istituzioni costitutive della identità della nostra generazione, memoria che è un peccato disperdere». E in un P.S. conclude: «Il tuo Sergio che iniziò il “cursus honorum” dal “Castagna” (appunto casino particolarmente amato dagli universitari di allora, ndr), fu promosso al “Lepre” e concluse la carriera come “membro” del “Suprema”». Non è simpatico questo ricordo? Una vera e propria scalata socio-cultural-economica dello studente universitario: prima al «Castagna» (tariffa mille lire), poi al «Lepre» (tariffa tremila lire), infine il top, il «Suprema» (diecimila lire).
E qui inserisco, visto l’argomento, un altro appunto che mi ha suggerito attraverso una bella intervista (leggi «Stop») di Silvia Stefini a Gino Paoli, nella quale conferma che il famoso «cielo in una stanza, col soffitto viola...» era proprio di una «piccola casa di piacere» (che dolce definizione ha dato Paoli di quelle case... davvero un innamorato di quelle pareti) «dove io - racconta Gino - passavo le giornata invece di andare a scuola. Con le “signore” ho avuto un rapporto meraviglioso, per me erano come delle mamme. Ho preso anche uno schiaffo da una di loro, perché aveva visto la mia pagella ed era orrenda. Nella canzone volevo descrivere l’attimo in cui ti perdi, ma quell’attimo è inafferrabile e indescrivibile e quindi ho cantato tutto quello che ci stava attorno».
Quindi quel soffito era «davvero» viola, intensamente viola...

là in quella piccola casa di piacere situata alle spalle di De Ferrari. (Era quella, vero, Paoli?).
Insomma: la generazione di settantenni non può dimenticare quell’epoca. Dal professore e avvocato, al grande cantautore nessuno è sfuggito a quegli attimi di celestiale piacere...

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