TESTIMONIANZE

Saggi, romanzi, autobiografie: gli ultimi contributi sull’Olocausto. Dopo i sopravvissuti, ora anche le generazioni più giovani indagano sulla tragedia

Anche quest’anno, in occasione del Giorno della Memoria, sono usciti numerosi libri, film e documentari sulla Shoah. In occasione della ricorrenza, ciclicamente alcuni intellettuali di destra e di sinistra si chiedono se un’overdose di informazioni sul tema non rischi di svuotare la memoria del suo significato più profondo. Partendo dal presupposto che un eccesso di informazione sia sempre meglio del suo contrario, l’aumento di interesse sulla Shoah deriva soprattutto dalla necessità collettiva di elaborare il passato: nell’immediato dopoguerra i sopravvissuti non avevano né la forza né il distacco necessari per raccontare l’orrore che avevano vissuto. I primi libri a uscire negli anni Sessanta e Settanta erano accolti da un pubblico sgomento di fronte a una tragedia che solo allora cominciava ad affiorare nelle coscienze traumatizzate (pensiamo soltanto all’effetto che ebbero titoli come Tu passerai per il camino di Vincenzo Pappalettera o Se questo è un uomo di Primo Levi). Negli ultimi decenni i sopravvissuti che hanno deciso di parlare sono sempre più numerosi e, man mano che essi scompaiono, sono i giovani a misurarsi con il passato.
Arnon Grunberg, classe 1971, nato ad Amsterdam, nel suo Il messia ebreo (Instar Libri, pagg. 456, euro 16), narra del nonno di Xavier Radeir, un nazista convinto che aveva compiuto il suo dovere di sterminatore degli ebrei fino all’estremo sacrificio. Il giovane lo venera e cerca anche lui una missione cui dedicarsi anima e corpo e decide di diventare il «consolatore» del popolo ebraico. Si trasferirà nella Terra Promessa e arriverà alla conclusione che il Messia c’è, ma non la redenzione di un’umanità abietta. Il Diario di Petr Ginz di Chava Pressburger (Frassinelli, pagg. 168, euro 16), è invece la storia di un ragazzo di quindici anni che poteva diventare un artista, anche se gli sarebbe bastato, più semplicemente, vivere. Deportato nel ghetto di Terezin, fu mandato a morire nelle camere a gas di Auschwitz. Scritti fra il 1941 e il 1942, durante gli ultimi mesi trascorsi in famiglia, nella Praga occupata, i diari di Petr sono lo specchio dell’attuazione della Soluzione finale. Il ragazzo che amava Anne Frank di Ellen Feldman (Corbaccio, pp. 254, euro 16), è la storia di un ebreo sopravvissuto che a soli vent’anni, nel 1946, sbarca negli Stati Uniti. Qui si ricostruisce un’esistenza ma rifiuta ogni ricordo e nega il suo essere ebreo perfino alla moglie, ebrea lei stessa, per rimuovere il tatuaggio da internato di Auschwitz. I problemi sorgono quando a metà degli anni Cinquanta, la pubblicazione del Diario di Anne Frank lo turba profondamente, tanto da fargli perdere la voce: è lui, infatti, il Peter del diario, quello di cui Anne si innamora nel rifugio di Amsterdam.
S’intitola Il tempo dell’odio e il tempo della cura il saggio della storica Carla Tonini (Silvio Zamorani editore, pagg. 202, euro 20), che narra la storia di Zofia Kossak, la polacca antisemita che salvò migliaia di ebrei. E antisemiti, delatori e collaborazionisti furono anche molti italiani che motivati dall’odio o per fini di lucro hanno portato alla cattura di molti ebrei, come racconta Amedeo Osti Guerrazzi in Caino a Roma. I complici romani della Shoah (Cooper, pagg. 222, euro 15). Rifugio all’inferno di Daniel B. Silver (Marsilio, pagg. 340, euro 19) è l’incredibile storia dell’ospedale ebreo di Berlino: alla liberazione della città tedesca nel 1845, gli alleati scoprirono un ospedale ebreo perfettamente funzionante nel cuore del Terzo Reich. L’autore racconta per la prima volta la storia di questa struttura e degli uomini che le hanno permesso di sopravvivere agli orrori del nazismo.
Dopo l’alba. La liberazione di Bergen-Belsen, 1945 di Ben Shephard (Corbaccio, pagg. 298, euro 18,60), narra di quando nell’aprile del ’45 le truppe inglesi entrarono nel campo di concentramento di Bergen-Belsen, dove trovarono un indescrivibile spettacolo di orrore e depravazione. Non ultima, dovettero affrontare un’immane sfida sanitaria: tifo, dissenteria, malattie psichiatriche, denutrizione. Con l’obiettività di uno storico della medicina, lui stesso ebreo, Shephard racconta nei dettagli i mesi successivi alla liberazione. Nonostante gli sforzi dei medici inglesi, ben 14mila individui scampati alla follia nazista trovarono comunque la morte. Sopravvissuta al campo di Ravensbrück a circa 80 chilometri da Berlino è invece Fausta Finzi, classe 1920, autrice di A riveder le stelle (Gaspari editore, pagg. 140, euro 10), cronaca di un incredibile viaggio di un gruppetto di ebree italiane, dal Lager fino a Lubecca, attraverso la Germania distrutta, cercando di evitare i liberatori russi che non trovavano di meglio che violentare le ex prigioniere.
Infine, Il Secolo dei genocidi di Bernard Bruneteau (Il Mulino, pagg.

300, euro 22): le origini ideologiche e storiche del comportamento genocida, che affondano nei massacri delle guerre di conquista coloniale, nella diffusione di un malinteso darwinismo sociale, nella pedagogia della violenza estrema nella Grande Guerra.

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