Testoni, il deputato che Cossiga ha eletto nipote

L’ex notista politico del «Messaggero» ha scritto un libro a quattro mani con il senatore a vita: «Il presidente mi considera un suo parente anche se non siamo consanguinei»

Come è etichetta tra colleghi, Piero Testoni arriva spaccando il minuto e subito saliamo a casa sua, due passi dalla Camera. Sapeste che casa ha il signorino! Signorino alla lettera, essendo scapolo incrollabile da 54 anni.
Cattedratico nell’arte di abbindolare fanciulle senza convolare a nozze, questo pozzo di saggezza ha percorso con passo leggero una vita varia e interessante. Noto giornalista politico al Messaggero per 30 anni, coautore di un libro con Francesco Cossiga di cui è un prediletto nipote, deputato di Fi dal 2001 e responsabile per l’Editoria del partito, Testoni è oggi un signore giovanilmente realizzato. Diversamente dai mal maritati, è sereno e, contrariamente agli sposati in genere, ha mantenuto la linea. Tenacemente fermo all’eleganza pre ’68, indossa una camicia a righe, cravatta regimental, mocassini da giovane leone.
Anche la casa è il suo specchio. Ordinata, come solo può essere una casa quando l’unica donna ammessa a curarla è quella di servizio. Patrizia, come può felicemente permettersela chi non ha gravami familiari. Caminetto acceso, cotto lucido, soffitto a cassettoni, vecchi libri e vetrinette illuminate. Una perfetta dimora da cardinale a riposo.
«Complimenti di cuore», dico e mi tolgo la giacca buttandola sul divano.
«Grazie. Contento che ti piaccia», dice con orgoglio Testoni che raccoglie la giacca e la ripone con cura su una sedia.
«Mai pensato di diventare marito e padre?», chiedo.
«Il desiderio di paternità ogni tanto fa capolino. Se non mi sposo invece è per scrupolo. Le nozze sono cosa seria», dice e liquida la faccenda.
«Libero e solo, ti si considera principalmente il nipote di Cossiga. Ti dispiace?».
«Mi inorgoglisce. So che il pizzico di notorietà che mi ha agevolato in politica, è dovuto a questa parentela. Ma ho la presunzione di credere che chi parla con me mi riconosca una personalità autonoma».
«Dicono che in realtà ti spacci per nipote».
«Se per nipote si intende consanguineo, non lo sono. È il presidente che mi chiama nipote», dice Testoni con una lieve cadenza sarda, attenuata da decenni di vita a Milano.
«Come stanno le cose?».
«La sorella del presidente, Antonietta, aveva sposato il fratello di mia mamma. Il padre del presidente era invece cugino di mia nonna materna».
«Non ho capito niente. Sarà una cosa sarda», dico.
«Molto sarda», conferma Piero.
«Cos’hai fatto in questa legislatura per affrancarti dalla parentela?», dico.
«Ho cercato di fare seriamente il parlamentare. Sono figlio di un magistrato e ho un forte senso del dovere. Se devo darmi un voto, penso di essere vicino alla sufficienza».
«Dicono che sei il “negro” di Cossiga, sei tu che gli scrivi quelle lenzuolate di arzigogoli allusivi?».
«Se le scrive da sé. Chiunque, ne riconosce lo stile. Il libro che ho scritto con lui, è completamente diverso. Ma spesso ho trascritto quello che diceva, senza ritoccare nulla. Non c’è solo la frase breve alla Craxi. Anche chi ha una personalità complessa come il presidente, ma concetti forti, può essere chiaro».
«Il libro a quattro mani, La passione e la politica, l’hai scritto da giornalista o da nipote?»
«Da giornalista perché taglio e selezione del materiale, sono miei. Ma solo da nipote ho potuto fargli certe domande. Penso anche che, se non lo fossi stato, la Rizzoli non mi avrebbe chiesto il libro. Fu direttamente Romiti, allora presidente Rcs, a commissionarmelo».
«La prefazione del libro è di Antonio Fazio. Amico tuo?»
«Nemmeno lo conosco. Il libro non aveva bisogno di prefazione. Il successo era incorporato e ha, infatti, venduto 50 mila copie. Fu il presidente a chiedere l’introduzione al Governatore, curioso di quel che avrebbe scritto. Fazio è una persona fredda, non particolarmente amica e, allora, era un totem intoccabile».
«Poi c’è stato il tiro al Faziopiccione...»
«Ho provato fastidio per gli eccessi dei giornali. Ma anche stupore nel vedere la rapidità con cui l’opinione pubblica diventa colpevolista o innocentista verso un personaggio che fino al giorno prima gli era completamente ignoto».
«L’anno scorso, per le elezioni regionali sei volato in Sardegna a dare una mano alla Cdl: avete perso».
«C’erano le premesse della sconfitta. La candidatura di Soru, patron di Tiscali, ha giovato alla sinistra. Noi siamo stati invece puniti per i nostri litigi intestini».
«La stampa sarda ti prese di mira: il bambolotto di Cossiga, lo schiavetto, eccetera».
«So come nascono queste cose. Il messaggio non è al bambolotto ma al presunto burattinaio. Entrambi gli schieramenti avrebbero voluto Cossiga dalla loro. Vedendolo invece giocare con la maglia azzurra, se la sono presa con me. Pazienza», dice.
«Sono arrivati a dire che hai fatto la blefaroplastica. È vero?», chiedo.
«Sfido chiunque a dimostrarlo. Conosco tutti i giornalisti sardi. Potevano anche chiedermelo. Controlla tu», e allunga il collo mettendomi le palpebre sotto gli occhi. Hanno rughette varie da cinquantenne: nessun ritocco. Superato l’esame, Piero estrae da un cofanetto una particola di cioccolato amaro e l’assapora a piccoli morsi, mugolando di piacere.
Com’è che sei passato dal giornalismo alla politica?
«Avevo grandissima curiosità di vedere l’altra metà del cielo. Dopo avere assistito da giornalista al massacro della prima Repubblica e la nascita miracolosa della seconda volevo fare questa affascinante esperienza».
Ti sei annidato in Fi su suggerimento dello zio?
«Non è stato lui a consigliarmi dove fare politica. Ma sono certo che non gli sia dispiaciuta la mia scelta».
È un bel tipo però il tuo conte zio. Ha sistemato in Fi il nipote e il figlio Giuseppe e poi mena fendenti al Cav.
«Una, cento, mille rampogne a Berlusconi sono ben riequilibrate dal costante e infinito massacro che fa di Prodi. Ognuna delle stilettate a Prodi, sono altrettante indicazioni a Berlusconi sui punti deboli del leader dell’Unione. Gli mostra dove colpire».
Per chi tifavi prima di militare in Fi?
«Se intendi i politici che mi hanno impressionato, devo spaziare anche fuori dai partiti che votavo, Pri e Dc. Ho seguito per il Messaggero, tanto Craxi che De Mita, i Coppi e Bartali degli anni ’80. Nella loro totale diversità, li ho apprezzati entrambi».
Molta stampa dà addosso al Cav. Se lo merita o è preconcetto?
«È precisa volontà di colpire. Nella migliore delle ipotesi, considerano Berlusconi un usurpatore che fa un mestiere non suo, che ha il torto di non essere la meteora che speravano, che difende davvero i valori liberali».
Anche nella Cdl c’è chi lo considera usurpatore.
«Sono i caudatari della sinistra che dà Berlusconi per morto. Il centro della Cdl, d’accordo con la sinistra, spera di sostituirsi a lui imponendo una linea più in sintonia con la pancia moderata del Paese».
Da esperto: qual è il giornale che fa la campagna più insidiosa contro la Cdl?
«Il più smaccato è La Stampa di Giulio Anselmi. Anche perché è una testata paludata, che la butta sull’etica. Se è l’Unità a dire che l’economia va male, conta poco. Ma se lo dice il giornale Fiat, che ha cominciato a farlo anche nelle pagine non economiche, il peso è forte».
Pure il tuo Messaggero non scherza.
«Non è particolarmente ostile. Appoggia l’Udc e Casini».
Ovvio. Caltagirone, il proprietario, è suo suocero.
«È un giornale romano, attento ai cattolici della Capitale. Ma ha giornalisti politici che nulla hanno da invidiare a quelli di altri quotidiani più blasonati. Li conosco e mi fido».
Il Tg più sereno?
«Il Tg1, per il suo ruolo. Vedo anche il Tg5, ma politicamente mi incuriosisce meno. Il Tg3 e tutta la Terza Rete sono invece una macchina da guerra della sinistra, coordinata in ogni parte. Dovremmo avere anche noi qualcosa di simile».
I liberali sono incapaci di fare pacchetto di mischia.
«Già, ma la gente ci prende per pirla e abbocca alla propaganda degli altri».
Sentivi bisogno del federalismo?
«Mi sarei accontentato di uno Stato efficiente. Ora però bisogna vigilare che il referendum non si faccia a ridosso delle elezioni, spaccando l’elettorato. Sarebbe entrare a gamba tesa nel voto politico».
Fisichella ha lasciato la Cdl.
«Non per la devolution. È la fine di un percorso cominciato da tempo».
Che pensi del Cav?
«È un uomo semplice e simpatico. In più, è un fuoriclasse. Coi primi pregi, ti affascina. Coi secondi, conquista tutto ciò che c’è da conquistare. Ma lo fa in una logica spudoratamente liberale, non padronale e arrogante».
Però possiede tre tv.
«Come editore, rasenta la dabbenaggine. Perché si può permettere questa ingenuità? Perché non ha scheletri nell'armadio e nulla da vergognarsi».
Lascerà lo scettro?
«Resterà finché la libertà in Italia non sarà cosa acquisita. Ancora non siamo usciti dall’emergenza che lo ha spinto in politica nel ’94».
Come finirà nel 2006?
«Partita aperta che altri pensavano di chiudere prima del tempo. Non sarà un referendum pro o contro il Cav.

Ma un confronto sui valori che Berlusconi difende e altri no».
Che ti aspetti da Prodi se vince?
«Con quel che propone, Prodi non vincerà. Noi abbiamo dieci volte più contenuti. Dobbiamo solo convincere la nostra gente che sta alla finestra».

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