RomaAttaccare il fortino delle municipalizzate è da sempre impresa difficile. Nelle società che gestiscono i servizi pubblici locali si annida, infatti, la riserva di potere di sindaci, presidenti di provincia e di regione. Il giardinetto delle clientele dove collocare consiglieri trombati, «figli di» e amici degli amici. Per questo nel decreto Ronchi-Fitto - tramutato in legge durante il governo Berlusconi e poi spazzato via dal famoso referendum fondato sulla balla della «privatizzazione dell’acqua» - era stato previsto un regime delle incompatibilità estremamente rigido. Misure «anticasta» che il ministro Fitto, nonostante lo tsunami referendario, era riuscito successivamente a resuscitare e riproporre nella manovra del Ferragosto scorso.
Ora però degli strumenti applicativi di quelle misure, nel decreto legge concorrenza e competitività, sembra non esserci ancora traccia. Probabilmente un rinvio in attesa della definizione di una disciplina più completa della materia che il ministro per i Rapporti con le Regioni, Piero Gnudi, promette di adottare entro marzo. «I miei uffici stanno già lavorando alla riorganizzazione del settore. I servizi pubblici locali contano un’occupazione di 137mila unità, producono un fatturato di 35 miliardi e hanno un’incidenza del 3% circa sul Pil».
Però su questo fronte l’ex ministro Raffaele Fitto - padre insieme ad Andrea Ronchi dell’unica riforma di sistema di questo settore arrivata fino all’approvazione finale - chiede la massima attenzione e vigilanza. «Noi abbiamo stabilito con chiarezza il divieto di essere nominati manager - o ricevere incarichi di consulenza - per chi ha ricoperto un incarico elettivo, così come per i parenti fino al quarto grado di dirigenti degli enti controllanti le società concessionarie» spiega Fitto. «Su questo aspetto bisogna stare molto attenti perché si parla di qualcosa come 38mila poltrone. In un momento in cui si discute tanto di costi della politica è bene avere un quadro normativo chiaro. Il governo deve imporre una applicazione rigida, attraverso un decreto interministeriale e una circolare esplicativa». «Sono orgoglioso di quella norma» continua Fitto «perché mette un freno alla possibilità per gli ex politici di ricollocarsi nei cda delle partecipate. È un fattore di trasparenza e di civiltà giuridica che riguarda anche chi ha preso posto in una commissione di gara organizzata dalla stessa società. Uno strumento attraverso cui far emergere una netta distinzione tra l’ente locale holding e i soggetti che gestiscono servizi pubblici locali».
Per l’ex governatore della Puglia, al di là delle incompatibilità, il governo deve impegnarsi con decisione sul fronte dei servizi pubblici locali. «Il nostro esecutivo aveva fatto un grande lavoro per rompere i monopoli e creare un ambiente concorrenziale. Un intervento dal forte valore strategico. Serve un approccio coraggioso perché questo settore può generare crescita vera per il Paese». Una convinzione sposata anche da Andrea Ronchi. «Bisogna alzare l’attenzione e colpire i potentati e quella miriade di società che opera con affidamenti tutt’altro che trasparenti sotto la guida di manager diretta emanazione della politica locale».
Per questo il primo passo, oltre a rafforzare l’obbligo di affidamento concorrenziale dei servizi pubblici locali, è blindare la griglia delle incompatibilità e confermare o magari rafforzare quelle regole che erano state inserite per mettere un freno al clientelismo dilagante in questi ambiti.
Un intervento considerato prioritario dal centrodestra che sulla riorganizzazione del settore chiede a Monti di agire con coraggio. E di essere coerente con la filosofia del decreto Ronchi-Fitto che per la prima volta aveva toccato i fili del comando, andando a rompere le uova nel paniere degli intoccabili delle municipalizzate.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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