Tfr dirottato sulla sanità. Idea copiata da Prodi

Cgil, Cisl e Uil contrarie all’ipotesi sulle liquidazioni. No anche da Confindustria: «Inutile». La norma già prevista nel 2007

Roma «Va bene, usate pure i soldi dei lavoratori dipendenti per risolvere i problemi della collettività, ma almeno tagliateci le tasse». Il segretario della Uil Luigi Angeletti interpreta bene ciò che la gente pensa dell’uso del Tfr da parte del governo. La Finanziaria utilizza 3,1 miliardi del fondo Tfr dell’Inps per finanziare la spesa sanitaria. Nessuno scippo, perché come confermano ministri e sindacalisti, il trattamento di fine rapporto resta comunque garantito. È una questione estetica, ma anche di sostanza: «Non ci va proprio che il governo si giochi questi soldi per spesa corrente - dice il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni - non ci piaceva con l’altro governo, non ci piace oggi».
Il riferimento di Bonanni al passato governo è indispensabile per capire la questione. Fu, infatti, il ministro del Tesoro del governo Prodi, Tommaso Padoa-Schioppa, a inserire nella Finanziaria 2007 la norma per trasferire il Tfr non dirottato dai lavoratori verso i fondi pensione in un Fondo Inps a disposizione dell’esecutivo. «Tps» utilizzò 2,4 miliardi di euro per la rete ferroviaria; 1,3 miliardi servirono per rifinanziare spese per investimenti; 520 milioni andarono all’autotrasporto, e negli anni successivi all’Anas e all’alta velocità. Dei circa 6 miliardi di flusso annuo di Tfr, metà torna ai lavoratori sotto forma di liquidazioni, mentre restano da 3 miliardi a 3 e mezzo a disposizione del Tesoro. Insomma il Fondo Tfr è un po’ un salvadanaio: le aziende ci mettono i soldi, il governo li spende.
La Confindustria, col vicepresidente Alberto Bombassei, spiega che la misura decisa ora ha però «natura del tutto diversa da quella del 2007: allora alle imprese fu imposto di versare il Tfr all’Inps, con un impatto diretto e rilevante sui bilanci. Adesso - aggiunge - si utilizzano quei fondi per mantenere i saldi di bilancio. Questa nuova misura non ha alcun impatto sulle imprese né sui lavoratori».
Insieme con gli introiti dello scudo fiscale, il prelievo dal Fondo Tfr rappresenta la voce di copertura più importante dell’intera manovra. Il gettito dello scudo vale 3,9 miliardi di euro, il Fondo Tfr ne vale 3,1. Le altre voci di copertura sono: l’accordo con le province autonome di Trento e Bolzano (1 miliardo), la riapertura dei termini per la determinazione dei valori di acquisto dei terreni edificabili e agricoli (350 milioni), la vendita di immobili pubblici (250 milioni) la stretta sui falsi invalidi (50 milioni), la riduzione di spesa degli enti locali (48 milioni). Come si vede, il Tfr rappresenta gran parte delle risorse necessarie agli interventi della manovra: in particolare, è destinato a copertura della maggiore spesa sanitaria 2010. In fondo, qualcuno dice che anche la salute è un «investimento».
Fin qui i fatti. Naturalmente, non mancano le polemiche. I sindacati criticano l’utilizzo del Tfr, ma con toni diversi. Epifani (Cgil) parla di «occasione persa» per non aver destinato quella risorse allo sviluppo, Bonanni (Cisl) chiede al governo di chiarire l’uso dei «soldi dei lavoratori». Angeletti (Uil) definisce la Finanziaria «poco coraggiosa» per quanto riguarda la parte fiscale, cioè la riduzione delle tasse sul lavoro. L’ultrasinistra parla di «scippo», ma nessuno nel Pd prova ad aprir bocca, ricordando che gli «inventori» della norma sul Tfr sono Prodi e Padoa-Schioppa. «La polemica su una presunta novità nell’utilizzo del Tfr - replica il ministro del Welfare Maurizio Sacconi - è infondata, e comunque dovrebbe essere rivolta al governo Prodi. Non ci sono novità e, ieri come adesso, sono assolutamente garantite le erogazioni ai lavoratori». Infatti, le aziende sono responsabili del versamento della «liquidazione», e poi conguagliano con l’Inps, ricorda Giuliano Cazzola (Pdl).


Dopo il «sì» in commissione, la Finanziaria è ieri giunta nell’aula della Camera, presente Giulio Tremonti. Le opposizioni hanno chiesto al governo di evitare il ricorso alla fiducia. «Sarebbe un cazzotto in faccia», dice Bersani. Ma il ministro dell’Economia replica: «Ora parliamo di merito, non di metodo».

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