Tfr, Padoa-Schioppa «boicotta» la manovra

Il ministro: «Privilegiare la previdenza complementare». Ma così si rischia di ridurre la quota destinata all’Inps e le entrate per lo Stato

da Roma

Un sesto della manovra per il 2007 viene dall’operazione tfr. Tommaso Padoa Schioppa, alla Giornata mondiale del risparmio, ha minato alle fondamenta l’operazione. All’Inps dovrebbe essere dirottato il 50% del flusso annuo dell’inoptato; cioè, del flusso di tfr che i lavoratori non decidono di indirizzare verso i fondi privati. Il ministro dell’Economia, parlando dell’importanza dei fondi pensione, dice che è necessario «promuovere tutte le azioni necessarie affinché vi sia la massima adesione alla previdenza complementare. È un interesse collettivo prioritario». Ma se tutti dirottano il proprio tfr verso fondi privati, la quota di tfr inoptato scende. E si riduce l’efficienza della misura della finanziaria. Tant’è che Mario Draghi avverte: il fondo Inps con il tfr dei lavoratori non deve intralciare lo sviluppo dei fondi privati. Frase che per Mario Baldassarri è la prova di come il governatore bocci l’operazione.
Poi, quasi a frenare le accuse di essersi troppo sbilanciato a favore dei sindacati, Padoa Schioppa prova a correggere il tiro sul ruolo dei sindacati nei fondi pensione. Possono essere i proprietari dei fondi - dice ai banchieri - «ma sarebbe improprio, addirittura pericoloso, affiancare i sindacati nella gestione dei fondi». E non perché i sindacati fanno un altro mestiere, bensì perché «in situazioni di crisi», verrebbe lesa «la fiducia di chi lavora nel principale tutore del suo interesse». Per il ministro, insomma, non sarebbe pericoloso che i sindacati gestissero i fondi perché hanno un altro ruolo nella società; ma perché il lavoratore iscritto, se perdesse soldi per un investimento sbagliato fatto dal sindacato, potrebbe perdere la fiducia in chi lo rappresenta.
Padoa Schioppa non ha mai amato l’intervento sul tfr, ma non s’era mai visto un ministro dell’Economia (prima firma della legge finanziaria) che sostiene iniziative che rischiano di minare l’efficacia di misure da lui presentate al consiglio dei ministri. Così come non s’era mai visto un ministro dell’Economia che, proprio nel giorno in cui si riunisce il comitato di coordinamento sugli emendamenti alla legge finanziaria, lasci Roma per Washington.

E nel tentativo di migliorare la sua immagine porti a bordo cinque giornalisti di altrettante testate che hanno i propri corrispondenti negli Stati Uniti.
E forse anche per la sua assenza da Roma, per l’assenza di una regia politica che Palazzo Chigi non riesce a supplire, la maggioranza si è incagliata su una serie di emendamenti alla manovra.

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