La Thatcher del Baltico invidia l’Inghilterra

«L’inflazione è troppo alta e i salari negli altri Paesi dell’Unione sono una tentazione irresistibile. Così molti lèttoni emigrano a Londra»

da Milano

«È una questione di personalità, valida in tutti i Paesi del mondo!». La signora Vaira Vike-Freiberga, presidente della Repubblica di Lettonia in visita ufficiale a Milano, se la ride delle quote rosa. Il suo Paese vanta, oltre a uno dei pochissimi capi di Stato donna, una presenza femminile ai vertici della politica tra i più alti del mondo. Ma la presidente, indipendente e senza affiliazione politiche, ci tiene a far capire che nulla viene regalato. «Ma non basta trovare donne competenti - dice -: prima bisogna far capire che l’ambizione è una cosa normale. Molte donne si autoescludono dalla politica perché si concentrano sulla famiglia. Mi piacerebbe poter dire che la Lettonia è all’avanguardia in questo campo, ma non è così. Non ancora. Però - aggiunge con un pizzico di autocompiacimento - una presidente donna aiuta».
La “Thatcher baltica” ha una storia personale ricca e avventurosa. All’età di sette anni ha lasciato con la famiglia il suo Paese sconvolto dalla guerra. Ha vissuto in Germania, in Marocco e in Canada, dove ha insegnato Psicologia all’università di Montréal. Nel 1998, pochi anni dopo il crollo dell’Unione Sovietica e la riconquista dell’indipendenza della Lettonia, è tornata in patria e l’anno dopo, suscitando una certa sorpresa, è stata eletta alla presidenza della Repubblica. Nel 2003 è stata riconfermata e gode oggi di grande popolarità tra i suoi compatrioti.
Nel 2004 la Lettonia è entrata a far parte, con gli altri due Paesi baltici e altri sette Stati della “nuova Europa”, dell’Unione europea, oltre che della Nato. «Considero questo una grande soddisfazione personale - dice la presidente, che si è data molto da fare perché il suo Paese, uscito da mezzo secolo di occupazione sovietica, si agganciasse stabilmente all’Occidente -. Siamo oggi parte dell’Europa e contribuiamo a far sì che sia un’altra Europa, non più la sola metà occidentale separata dall’altra metà da una cortina di ferro. È una svolta storica: il prossimo obiettivo sarà l’effettiva equiparazione dei nuovi Paesi membri a quelli vecchi. Stessi standard di vita, stesse regole, stessa competitività».
Non sembra però - facciamo osservare - che i lèttoni siano degli europeisti entusiasti. «Non darei troppo peso ai sondaggi, che spesso riflettono umori personali del momento. Riconosco però che l’euroentusiasmo dei lèttoni è più basso di quello della loro presidente. Del resto, Bruxelles ci mette del suo quando, emettendo norme drastiche e improvvise, danneggia pesantemente una nostra industria importante come quella dello zucchero. Ovvio che molti qui da noi si siano risentiti».
Siete parte integrante dell’Europa, chiediamo ancora, ma è un fatto che molti europei non sanno nulla della Lettonia e dei baltici. Non vi sentite dei fratelli minori? «Non mi meraviglia che siamo un po’ degli sconosciuti: per cinquant’anni siamo scomparsi dalla carta geografica, i sovietici ostacolavano al massimo i nostri contatti con gli stranieri, non c’era neanche un collegamento diretto tra la Lettonia e l’Occidente, bisognava passare da Mosca e neppure questo era reso facile. Ma ora che ci hanno scoperto, piacciamo: sia ai turisti, sia in economia».
Tema delicato, l’economia.

«Abbiamo una crescita record, ma l’inflazione è troppo alta (il 7%, ndr), così l’ingresso nell’euro è rinviato al 2010, se tutto andrà bene. E purtroppo molti lèttoni se ne vanno in Inghilterra o in Irlanda a guadagnare salari ben superiori ai nostri». La Dama di ferro pensa a Londra e sospira.

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