Tutto nacque in quel mondiale in cui l’Italia vinse e la Francia perse in semifinale contro la Germania ai rigori. Lui stava in Guadalupa, non aveva che cinque anni, lo sciolse un gol di Marius Tresor. Fu la scossa per credere a un futuro. Quasi qualcosa lo leghi alla storia di oggi. Poi ci fu quel rigore calciato contro l’Italia nel mondiale ’98. «Un flash che spesso mi torna in mente. E sempre con l’impressione di essere sul punto di sbagliarlo». Thierry Henry anche oggi sarà appostato dietro l’angolo del destino italiano. Lui, cacciato dalla Juve come fosse uno Zalayeta qualunque. Invece è il serpente di sempre. Gioca da solo perché così gli piace. Non vuole Trezeguet, perché in due soffocano lo spazio. Il padrone della Francia di Domenech è lui e ha potere su tutto e tutti. In cambio dei gol. È fermo a tre. Tre in sei match, una media ancora bassa per uno che nella stagione aveva segnato 37 reti in 52 partite, alla media di 0,71 per incontro. Ma Henry è come un bot a rendimento garantito. Capace di infilarsi nelle difese, sfruttando ingenuità e spazi.
Con gli italiani non ha mai avuto vita facile: non si è integrato alla Juve, ha rimediato quache figuraccia. La peggiore nel glorioso Higbury contro l’Inter. In Inghilterra è un asso, in Francia pure, sta inseguendo un pallone d’oro. Cannavaro può diventare il suo incubo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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