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«Ti opero se paghi»: 8 anni al cardiochirurgo

Mauro Abbate era considerato pioniere del suo settore. Si faceva pagare dai malati che volevano lui in sala operatoria

da Catania

Il cardiochirurgo Mauro Abbate, ex direttore del centro specializzato dell'ospedale Ferrorotto di Catania, è stato condannato a 8 anni di reclusione per concussione. La sentenza è stata emessa col rito abbreviato dal gup di Catania Alba Sammartino che ha anche comminato l'interdizione perpetua dai pubblici uffici, la sospensione dall'esercizio della professione medica e l'interdizione legale per tutta la durata della pena, la confisca di circa 23mila euro sequestrati nei conti correnti del professionista, e risarcimenti in favore delle parti civili, variabili tra i 2 e 5mila euro, e una provvisionale di 250mila euro in favore dell'ospedale che si era pure costituito parte civile. I pm Fanara e Bonomo avevano chiesto 8 anni e sei mesi, ma si sono egualmente dichiarati soddisfatti della decisione del gup. Abbate era sotto processo per aver chiesto denaro ai pazienti in cambio della sua presenza in sala operatoria, affidando ai suoi assistenti quanti non volevano pagare.
L'indagine su Abbate, 70 anni, pioniere dei trapianti di cuore, era stata avviata dalla Guardia di finanza in seguito ad alcune denunce di familiari di pazienti e si sono avvalse di intercettazioni ambientali. Il medico era stato arrestato il 24 febbraio 2005 su provvedimento del gip Fallone che gli aveva concesso i domiciliari nella villa con piscina a Pedara. Subito dopo, in Procura si erano presentate spontaneamente altre cinque persone che avevano accusato Abbate di avere chiesto loro denaro per operare personalmente loro congiunti. Abbate si era quindi dimesso dall'ospedale dalla cattedra all'Università, e venne rimesso in libertà dopo aver ammesso le sue responsabilità. Il chirurgo si era impegnato anche a risarcire alcune delle vittime. Secondo la Procura, Abbate avrebbe chiesto e ottenuto da mille a tremila euro per garantire la sua presenza in sala operatoria. In un mese di intercettazioni ambientali, utilizzando una «cimice» piazzata nel suo studio ospedaliero, la Guardia di finanza aveva registrato cinque richieste di denaro. Il professionista faceva capire che per operare personalmente «si deve ricorrere all'intramoenia, che costa 12mila euro. L'ospedale - aggiungeva - si tiene 6mila euro, il restante lo divide per i medici». A questo punto scattava la richiesta: «Lei signora - chiedeva Abbate a una paziente - domani mi deve portare 6.000 euro». La trattativa si concluse con un accordo su 3.000 euro che il professore pretese «in contanti e non con assegni» perché diceva di doverli distribuire ai medici e ai tecnici. Emerge ancora dalle intercettazioni che Abbate assicurava che i soldi sarebbero andati «in beneficenza all'associazione no profit Marta Russo», poi risultata estranea alla vicenda e che non ha mai ricevuto denaro. Ad alcuni Abbate praticava uno «sconto» ma chiedeva comunque «un pensiero personale» come «una bottiglia di champagne» o un «regalino» da prendere in una gioielleria di Catania.
Per evitare problemi, il professore inoltre dettava ai pazienti una lettera di ringraziamento: «Allora - spiegava Abbate ai figli di una paziente - dobbiamo fare questa lettera perché mi serve per l'ospedale, se no ho grane terribili. Scriva: “L'ospedale voleva 12mila euro.

Noi non avevamo questa somma ma lei ha operato la mamma senza prendere soldi. Oggi la mamma torna a casa e noi volevamo ringraziarla e darle un'offerta per aiutare quelli che lei deciderà e avranno bisogno. Grati per tutto”. E adesso firmatela».

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