Tieri-Lojodice, ironia e classe sempre in coppia

Lui era meticoloso fino all’ossessione e, una volta scelto il copione da rappresentare, riscriveva il testo con un puntiglio addirittura maniacale sui suoi quaderni che, come oggi ci ricorda lei con un filo di malinconia, erano più scuri di una lavagna mai sfiorata dal gessetto impietoso di un bambino. La signora, invece, procedeva in modo diametralmente opposto dato che, chiusa nella più sdegnosa solitudine, dettava al registratore non solo la sua parte ma tutta la commedia ascoltando fino alla nausea ogni battuta per estrarne il senso più riposto come un archeologo occupato a decifrare una lingua sconosciuta.
Lui, Aroldo Tieri, figlio di un famoso commediografo, aveva ereditato dal padre la passione per la scena mentre lei, Giuliana Lojodice, che da bambina aveva pianto assistendo in teatro al martirio di Giovanna D’Arco, a tredici anni si presentò a Luchino Visconti che cercava una ragazzina indemoniata, vittima delle potenze infernali, che accusasse di stregoneria Lilla Brignone nel Crogiuolo di Arthur Miller. Lui si divertiva a raccontare che, mentre sulla scena era stato partner di Rina Morelli e Rossella Falk, al cinema aveva duettato con Mina e con una teen-ager di nome Rita Pavone. Mentre lei, che lo schermo aveva inspiegabilmente ignorato, si era presa - afferma oggi con fierezza - una clamorosa rivincita quando Garinei e Giovannini, nel loro musical capolavoro Ciao Rudy, le imposero una parrucca platino alla Jean Harlow e un gonnellino rosso fuoco degno di Josephine Baker per danzare sul lucidissimo parquet del Sistina il tango con Marcello Mastroianni nelle vesti di Valentino.
Tutto questo ed altro ancora apprendiamo, tra nostalgia e fantasia, dalle pagine agili e frizzanti di Anna Testa, autrice del recentissimo Buonasera Aroldo, buonasera Giuliana appena uscito per i tipi di Dalai Editore (214 pagine, 22 euro), comprensivo di un delizioso dvd, che immortala la coppia più elegante e ironica del nostro teatro. Mai contagiata da certo vieto consumismo oggi imperante, ma tesa perennemente alla ricerca della ghiotta novità assoluta da proporre al pubblico. O, in caso contrario, impegnata fino allo spasimo a esumare i grandi autori del Novecento chissà perché ignorati con dispettoso timore dai loro colleghi.
Dal diario di Aroldo e dai ricordi di Giuliana ora si affaccia il fantasma di Italo Svevo che proprio loro, col Marito, approdò felicemente alla ribalta, quello della Duras con la sua terribile Amante inglese perseguitata da un incubo mortale e persino quello di James Joyce con Esuli, la sua unica pièce.


Unico rammarico quello di non essere riusciti a portare in scena quei Sogni muoiono all’alba che Aroldo aveva recitato nel solo film sceneggiato e diretto dal suo grande amico, quel signore dagli occhi chiari di nome Indro Montanelli.

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