Roma Nel Pd, la sensazione più forte è quella di essere confinati a bordo-campo. «Ormai il centrodestra si fa l’opposizione da solo: spero almeno che finalmente abbiano ereditato il nostro tafazzismo, e gli porti sfortuna...», si augura Francesco Boccia.
Tutti negano di fare il tifo per i duellanti del Pdl: «Certo, se finiscono ai materassi e si spacca il Pdl ne sarò felicissimo. Ma resta comunque una partita tra idee diverse di centrodestra, e non ha senso che noi ci schieriamo», spiega Paolo Gentiloni.
Ieri i big del partito hanno taciuto sul match Fini-Berlusconi, lasciando i commenti ufficiali al segretario Pierluigi Bersani, che parla di «spettacolo indecoroso», respinge la mano tesa del premier sulle riforme («non si farà nessuna riforma») mentre assicura che «con Fini si può ragionare», e annuncia che il Pd vuole «accelerare» la preparazione della «alternativa», in caso di crisi di governo. Ma in realtà, sugli spalti del Pd, le tifoserie si dividono eccome. E paradossalmente, se da un lato c’è il partito pro-Fini (principale portavoce: Massimo D’Alema), dall’altro lato rispunta anche un partito «pro-Berlusconi»: quello che, una stagione fa, fu battezzato «CaW». Dove la W stava naturalmente per Walter Veltroni.
Sarà un caso, ma non appena D’Alema ha iniziato a lanciare segnali verso il presidente della Camera, indicandolo come «interlocutore» privilegiato e spiegando che, in caso di rottura nel Pdl, «il Pd deve saper sviluppare un’azione politica all’altezza dell’esaurirsi di un certo tipo di bipolarismo, e di una cultura della governabilità di cui anche noi ci dobbiamo liberare», dal fronte veltroniano si è fatto muro. E ieri, sul Foglio di Giuliano Ferrara (il giornale che fu massimo sponsor del «CaW», ai tempi della discesa in campo di Veltroni) è uscito un lungo articolo di Giorgio Tonini. Nel quale il senatore del Pd, uno dei principali consiglieri politici dell’ex leader, condanna ogni tentativo di «rimessa in discussione del bipolarismo» ed evocazione di «terze forze». Auspicando che il centrosinistra sappia darsi - al pari del centrodestra - una «leadership forte» e corazzata contro gli «attacchi» delle «correnti», e che si usino gli ultimi tre anni di legislatura per una riforma nel segno della «democrazia decidente»: due poli «organizzati attorno a partiti a vocazione maggioritaria», più poteri al governo e al suo premier, e ruolo più definito per l’opposizione. Il tutto, sottinteso, da fare d’intesa con la maggioranza e il suo capo.
Spiega Tonini che in una parte del Pd (quella dalemiana) vede risorgere la tentazione di «fare il tifo perché saltino gli equilibri del centrodestra, Fini sia costretto a uscirne e possa nascere una sorta di “Kadima” all’italiana con dentro Casini, Rutelli, Montezemolo e chissà chi». Una «terza forza» che «potrebbe allearsi con il Pd e far saltare Berlusconi, non attraverso le urne ma con un risiko di Palazzo», magari puntando a un «governo di unità costituzionale contro il Cavaliere» e ad una «riforma elettorale di stampo proporzionale tedesco». Uno scenario che a bipolaristi convinti come Tonini (o Veltroni) non piace per nulla. Rincara Gentiloni: «Mettere addosso a Fini l’etichetta di “terzista” vuol dire solo fare un favore a chi, come Berlusconi, non vede l’ora di tagliargli la testa».
Ma il fronte filo-finiano non demorde. C’è chi, come l’ex Ppi Merlo, arruola direttamente il presidente della Camera, chiedendosi: «Qual è ormai la differenza tra le sue idee e quelle del centrosinistra?». C’è chi, come Marco Follini, si augura che Fini «possa rimettere in discussione, suo malgrado, il dogma del bipolarismo». Chi come Peppe Fioroni spera che la frattura nel Pdl provochi «effetti imprevedibili anche tra noi», magari offrendo agli ex Ppi una nuova casa centrista.
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