Tigri e spiriti, ecco il codice sulla pelle degli ultrà

A Napoli, sul corpo dei supporter inciso anche il "monaciello". Undici arresti tra le tifoserie infiltrate dalla camorra. Ogni gruppo aveva tatuato un simbolo di riconoscimento

Tigri e spiriti, ecco il codice  sulla pelle degli ultrà

Tatuaggi, cicatrici, pallottole e pallone. Gli undici ultras napoletani arrestati dalla Digos per devastazioni e scontri di piazza avevano scelto come simbolo di affiliazione ‘o munaciello, lo spirito dispettoso che abiterebbe nelle vecchie case del centro storico. E proprio come un fantasma apparivano e sparivano all’improvviso, mordi e fuggi, black bloc all’ombra del Vesuvio, per assaltare i blindati della polizia e supporter avversari.

Organizzati e preparati dal capobanda Francesco Fucci (vicino al clan Mazzarella) che a detta della Digos si occupava dell’«analisi delle partite allo scopo di verificare le possibilità di incrociare sul territorio formazioni di tifosi verso le quali ricorre forte ostilità», a studiare i «percorsi di viaggio», a valutare la «consistenza numerica dei gruppi avversi», a pianificare le «modalità dell’attacco» e la preparazione «delle vie di fuga».

Un colonnello mancato, con un gran gusto per lo spettacolo se al telefono intercettato spiegava ai suoi soldati: «A me piace l’estetica... dovete venire tutti scuri, né magliette chiare, né magliette rosse, né magliette verdi, né magliette rosa: niente! Perché se venite così, vi faccio allontanare». Chi tradiva il gruppo del «Bronx» era costretto a farsi cancellare il tatuaggio perché indegno e a portare sulla pelle la cicatrice della vergogna.
Già, il tatuaggio. I vecchi mestieranti del crimine e del tifo organizzato sfoggiano con discrezione i «cinque punti della mala» nell’incavo tra il pollice e l’indice della mano che un tempo sparava. Ma un po’ tutte le gang della tifoseria partenopea e della camorra usano emblemi per riconoscersi: volti coperti disegnati con le sciarpe, eppoi diavoli, catene, la corona della Rolex e, ancora, Santi, Cristi misericordiosi (il boss Campanella) e Madonne.

Va tanto il revolver riprodotto all’altezza della cintola e tigri, tante tigri. Poi ci sono gli scorpioni identici a quelli impressi sui pani di cocaina dai narcotrafficanti del feroce clan Di Lauro, o meglio dal suo miglior commerciante di droga, Raffaele Amato, che riproduceva le chele dell’animale killer fin sulle targhe di auto e scooter del clan. I killer, e certi fan di Cavani, non disdegnano la croce stilizzata e nemmeno la bara, come a dire «meglio morto che infame». E per esorcizzare la paura? Un bel graffito nella schiena con un coltello piantato in mezzo o un foro di rivoltella all’altezza del cuore.

Rivela a verbale il pentito Maurizio Prestieri: «Il tifo organizzato è sempre espressione della criminalità organizzata, e ciò è testimoniato dalla indicazione degli striscioni. Per fare un esempio, lo striscione Masseria Cardone è relativo al clan Licciardi, lo striscione Teste Matte è relativo a un clan dei Quartieri Spagnoli. Ricordo che lo striscione Masseria Cardone venne imposto dai figli di Gennaro Licciardi (boss della camorra, ndr) e detto dato è confermato dal simbolo di questo gruppo, la testa di un cane, simbolo uguale a quello che hanno tatuato quasi tutti i giovani della Masseria Cardone».

E se un altro collaboratore, Emiliano Zapata Misso spiega com’è suddiviso lo stadio San Paolo a seconda delle preferenze criminali («i gruppi di tifosi che siedono in curva A rispettano regole precise e sono l’espressione dei clan camorristici presenti in città») dalla carte dell’inchiesta esce anche la vecchia amicizia tra il fantasista Ezequiel Lavezzi (il calciatore con più tatuaggi del campionato) e il boss Antonio Lo Russo, fotografato a bordo campo durante una delle partite sospette giocate dal Napoli nel 2010. «L’ho conosciuto a Castelvolturno, presentandosi come esponente degli ultrà della curva B», ha raccontato il Pocho ai pm.

«Questa persona in qualche occasione è anche venuta a casa mia insieme ad altri tifosi (...). Con Antonio era nata una certa confidenza, veniva anche a casa. Poi non l’ho più visto, ho saputo che era latitante in quanto camorrista, ma non lo sapevo».

Sempre a Lavezzi è indirettamente collegata la storia del tatuatore partenopeo «Zendark», alias Gianluca Cimminiello, assassinato a Casavatore per aver pubblicato su internet una foto in cui era col Pocho con l’invito a tutti a farsi marchiare da specialisti, e non da apprendisti disegnatori, del tipo di quello che gli ha spedito un commando di scissionisti per farlo fuori, e non riuscendoci ne ha mandato un altro, ’o cubano, che s’è acceso un sigaro e sorridendo l’ha mandato all’altro mondo.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
ilGiornale.it Logo Ricarica