nostro inviato a Bruxelles
Mezz'ora fermo sulla pista dell'aeroporto militare Melsbroek di Bruxelles. Ufficialmente per un rapido cambio d'abiti, in verità per una lunga serie di telefonate per cercare di tirare le fila di una maggioranza sempre più in difficoltà dopo il voto su Papa. E, tra gli altri, Berlusconi - atteso al Justus Lipsius per la riunione dell'Eurogruppo - avrebbe sentito anche Bossi. Un colloquio breve che non sarebbe però riuscito a dissipare i molti dubbi sulla sterzata leghista.
Sì, perché la linea passata sui giornali - quella dello scontro tra il Senatùr e Maroni - non convince quasi nessuno nel Pdl. E forse non convince nemmeno un Cavaliere che adesso inizia a temere che il leader del Carroccio abbia in qualche modo dato il via libera a uno sganciamento della Lega dalla maggioranza. Che le difficoltà fisiche non aiutino Bossi non è un mistero. Ma la sensazione - ribadita ieri da più ministri del Pdl - è che in via Bellerio non sia andato in scena alcun redde rationem. Semplicemente il Senatùr avrebbe iniziato a dar corda ai malesseri della base, quelli sulla linea politica (di qui il ritorno a posizioni più giustizialiste) e quelle sulla dirigenza (sul territorio l'insofferenza per Reguzzoni e i suoi ha superato il livello di guardia). Bossi, insomma, avrebbe ceduto alle pressioni non solo di Maroni ma anche di Calderoli. Che, dice uno dei presenti alla riunione a via dell'Umiltà tra il ministro leghista e lo stato maggiore del Pdl, «adesso giocano di sponda» tanto è stato «lunare» Calderoli nel minimizzare l'accaduto. Almeno pubblicamente, però, Berlusconi si guarda bene dall'affrontare l'argomento. Anzi, dopo aver elogiato le parole di Napolitano su giudici e intercettazioni, lasciando Bruxelles si limita a dire che Bossi «ha avuto un intervento» e che ha «provato a chiamarlo per gli auguri». E con Maroni tutto chiarito? «Ci sono altre domande?», replica secco il premier dopo aver spiegato che «non è un momento delicato per la coalizione» visto che quel che è accaduto è dipeso da «situazioni interne ad un partito», cioè la Lega.
Una conferma delle tensioni, però, arriva dal fatto che oggi il Senatùr non sarà al Consiglio dei ministri. Con Castelli che continua a dire che non voterà il rifinanziamento della missione in Libia. E con la Lega che fa avanti tutta sulla strada del movimentismo, tanto che domani inaugurerà a Monza tre nuove sedi ministeriali. Senza considerare le bordate che arrivano dal segretario della Lega Veneta Gobbo («il patto con il Pdl va ridiscusso»). Insomma, la strategia dell'affondo del Carroccio tutto pare fuorché non avere l'avallo - probabilmente suo malgrado - del leader storico.
Ecco il perché dei tanti mal di pancia del Pdl. Dove tutti, quasi senza eccezione, chiedono ora a Berlusconi di «liberare» Alfano dalle briglie del ministero della Giustizia e farlo concentrare sul suo nuovo incarico di segretario del partito.
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