Tiscali vara l’aumento e Soru festeggia 10 anni di delusioni

Boom in Borsa per Tiscali. A quasi dieci anni dalla quotazione, avvenuta il 27 ottobre del 1999, l’Internet provider sardo sbanca gli indici di Piazza Affari facendo segnare un più 179%. In realtà si tratta di un rialzo fuorviante, ma la Consob ha aperto un’inchiesta. Non è una rinnovata febbre del web, bensì banali motivi tecnici derivati dall’aumento di capitale, già visti in casi precedenti come Seat e Pirelli Re. Tanto che a fine giornata il bilancio tra valore delle azioni Tiscali e quello dei diritti è minore rispetto a quello fatto registrare dai titoli venerdì scorso. Ma dalle nebbie della rete è riemerso il fondatore, Renato Soru, che dopo la parentesi politica durata cinque anni è tornato a occuparsi della sua società che può essere considerata un paradigma della cosiddetta «febbre di Internet». «Tiscali - ammette Soru - non è riuscita a portare avanti il progetto industriale che prevedeva una presenza in 10 Paesi europei, però è rimasta sul mercato. Ora è una società che opera solo in Italia con un business plan sostenibile».
Eppure il 27 ottobre di dieci anni fa, il primo per Tiscali in Borsa, era stato senza precedenti: più 54%. Il che voleva dire che nelle casse della società erano entrati in un sol giorno 150 milioni (quasi quanto l’aumento di capitale di ieri da 180 milioni) e che il 90% allora nelle mani di Soru valeva circa 700 milioni. Oggi la capitalizzazione della società è di circa 1 miliardo e 100 milioni con il titolo a 59 centesimi. In realtà, dopo il primo giorno di quotazione le azioni di Tiscali avevano cominciato una galoppata culminata nel marzo del 2000. A valori rettificati, il titolo è arrivato a valere il corrispondente di 59 euro, per una capitalizzazione di ben 110 miliardi. Sul valore influivano certamente la follia del momento, ma anche le previsioni sbagliate di alcune banche. Per Abn Amro, che aveva portato la società in Borsa, Tiscali nel 2002 avrebbe dovuto fatturare nell’e-commerce e derivati circa 300 milioni e 150 nei servizi telefonici. Previsione evidentemente azzardata dato che il nuovo conservativo business plan elaborato da Soru prevede ricavi per 370 milioni di euro nel 2013, praticamente tutti da servizi a banda larga. Il sogno degli Internet provider, di farsi pagare percentuali per quanto venduto in rete, sono naufragati con il moltiplicarsi delle offerte di connessione. Sul web solo Google, il motore di ricerca, è riuscito ad affermare il suo modello di business a livello globale, grazie a una quota di mercato enorme, facendo pagare la pubblicità ai siti indicizzati. Eppure, all’inizio anche Tiscali sembrava sulla buona strada. Aveva fatto acquisizioni di importanti Isp europei come World on line e Liberty Surf, molto sopravvalutati anche se aveva dato in cambio le sue azioni, altrettanto sopravvalutate. Dopo ognuna di queste operazioni, i manager e gli azionisti principali di quelle società si sono sempre affrettati a vendere i pacchetti azionari. Intascando ovviamente laute plusvalenze. Come ha fatto anche il fondo Kiwi di Elserino Piol, il primo a credere in Tiscali che nel 1998 aveva investito circa 2 milioni di euro. Diventati circa 500 al momento della vendita nel 2001.
E Soru? I bene informati giurano che il fondatore, incredibilmente, ha guadagnato ben poco dato che si è sempre diluito dopo ogni acquisizione, senza però mai vendere azioni. C’è chi dice che ha rifiutato un’offerta da parte di Deutsche Telekom, nel 2000, di 2,5 miliardi. E in tempi più recenti ha rifiutato altre offerte.

«Non è vero che Tiscali non è in vendita - ha detto -; non è ancora arrivata la proposta giusta». In ogni caso ha una bella villa sul mare, ovviamente in Sardegna, e il suo stipendio di amministratore delegato. Che lui specifica essere di 350mila euro lordi.

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