nostro inviato ad Ancona
Ma come si controlla bene, Tiziano Ferro. Arriva al Palarossini tranquillo come una pasqua, o finge di esserlo, e poi parla e riparla di quant'è complicato metter su uno show come quello che ieri sera ha provato per l'ultima volta e stasera inaugurerà qui (a Milano il 30, a Roma il 16 e 17 febbraio), pieno di cambi di scena, ballerini, citazioni più o meno colte e persino dichiarazioni d'amore alla regina Carrà alla quale dedicherà sul palco pure una canzone che è il grido di un tifoso duro e puro: E Raffaella è mia. Però intanto parla chiaro, eccome, accusa, sentenzia e si difende perché non è mai stato così lucido, questo ragazzetto che se si mette una cosa in testa non gliela togli neanche a pagarlo. Dalla periferia di Latina, proprio ai bordi di periferia, in sei anni è diventato una voce dalle uova d'oro, ha seminato la sua metrica pop così stramba e così coraggiosa e ora ne raccoglie i germogli con la prima tournée come si deve, imponente e compiaciuta, capace di mescolare talento e scenografia senza che l'una cancelli l'altra, anzi.
Era ora, Tiziano Ferro, tra i primi della classe era l'ultimo a mancare all'appello del palco.
«Ho trovato qualcuno che ha creduto in questo progetto. Mi avevano proposto una tournée standard ma ho detto subito no: solo se ti prendi dei rischi puoi fare bene. E qui in Italia o si fa troppo poco oppure si mette in scena un baraccone estremo».
Ma lei da che parte sta?
«Il mio è un concerto minimale, con pochi orpelli. Ma è anche teatrale perché volevo immergermi fino in fondo nel mio concerto: io mi salvo solo se sono immediato. E così ho deciso di essere».
Infatti canta tutto l'ultimo cd Nessuno è solo più i suoi successi da classifica iniziando da Xverso...
«La scaletta è molto difficile, ci sono brani complicati davvero».
Come Ed ero contentissimo.
«E io dal vivo la canto senza coristi, faccio tutto da solo. Ma è meglio così: sotto pressione vivo meglio».
D'altronde anche il concerto sembra fatto apposta: l'atmosfera cambia così spesso che è difficile annoiarsi.
«In fondo c'è un ritorno ai suoni degli anni ’70, senza troppa tecnologia».
Anche i punti di riferimento sono quasi nostalgici: dai ballerini vestiti come i «drughi» di Arancia Meccanica fino alla tv in bianconero rievocata in E Raffaella è mia.
«D'altronde io contesto sempre la definizione di musica leggera. Il fatto che i brani siano popolari non significa che siano leggeri, anzi. Sono il frutto di un grande lavoro, di molto impegno e di un vortice di idee che impiega tanto tempo per essere realizzato. E poi bisogna trovare i giusti punti di equilibrio».
Però Vasco Rossi ha appena detto che i cd non hanno più senso e che lui vorrebbe «fare una canzone alla volta».
«Per me sarebbe impossibile. Un disco è un disco. È il frutto di tanto tempo, di tanti pensieri. Ad esempio il mio ultimo cd è uno spaccato di tre anni della mia vita, ogni canzone è l'immagine di un periodo e di ciò che ho provato in quei giorni. Facendo un paragone un po' azzardato, per me pubblicare una canzone per volta sarebbe come vendere febbraio da una parte, marzo dall'altra e via dicendo. No, tutto deve essere ascoltato insieme».
La vedremo al Festival di Sanremo?
«Io ci andrei di corsa ma purtroppo non c'è ancora un invito ufficiale cui poter rispondere. È tutto sospeso per aria. Certo, se Pippo Baudo, che è un mostro sacro, invitasse un cantante di 26 anni come me vorrebbe dire che ci crede proprio. E io sarei contentissimo».
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