"Tocca all’Europa salvare le islamiche"

"Tocca all’Europa salvare le islamiche"

Non ha paura, né dubbi, né rimorsi Daniela Santanchè. Al contrario: dopo l’aggressione subita ieri a Milano di fronte a un locale dove si svolgeva una festa islamica, il leader del Movimento per l’Italia è determinato ad andare avanti.

Altri al suo posto sarebbero titubanti, lei invece no. Perché?
«Perché non si può più tendere la mano a chi è intollerante e applica le logiche del califfato rifiutandosi di rispettare le nostre leggi. Io sono convinta che questa sia una battaglia di civiltà per liberare le donne islamiche dalla sottomissione dei clan maschili. Dovrebbe diventare la battaglia di tutti».

E la combatte compiendo gesti che gli islamici, ma non solo loro, considerano provocatori?

«La mia non era una provocazione. Sono nel mio Paese e mi sembra assolutamente normale chiedere alle autorità di far rispettare la legge 152 che vieta di nascondere la faccia. Ritengo che siano i fondamentalisti islamici a sfidare noi italiani, imponendo comportamenti semplicemente inaccettabili. Ieri sono stata aggredita, picchiata, mi hanno strappato il volantino e mi hanno buttato i brandelli in faccia. L’esperienza vissuta ieri mi ha convinto che sia giunto il momento di intraprendere nuove iniziative».

Ovvero quali?
«Intendo promuovere una Conferenza europea per tutelare i diritti delle donne musulmane. L’Unione europea non può continuare a muoversi in ordine sparso. Basta leggere i giornali per rendersi conto che tutti i Paesi si trovano di fronte agli stessi problemi, dunque la soluzione deve essere comune».

È sufficiente vietare il burqa?

«La Francia lo ha proibito da poco ed è significativo che Sarkozy abbia sentito l’urgenza di agire in questa direzione. Io propongo di andare oltre e di elaborare una Carta che tuteli i diritti delle islamiche e sancisca il rispetto dei nostri valori. Chiederò al ministro Frattini di farsene carico a livello comunitario e solleciterò la collaborazione dei Paesi arabi più evoluti, a cominciare da quello del Marocco».

La sua è una guerra contro l’Islam?
«Assolutamente no e voglio dirlo con chiarezza: io non mi batto contro una religione, ma in difesa di donne che non hanno nessuna libertà. Sanaa è appena stata uccisa e sua madre non può piangerla, né prendersela con l’uomo che le ha strappato sua figlia. È sottomessa, segregata. Sa quante donne col burqa ho visto ieri alla festa islamica?».

No, lo dica lei...
«Decine, in una moderna città europea come Milano. E praticamente nessuna di loro parlava italiano. Quando sono entrata ho dovuto dialogare ricorrendo un interprete, un uomo naturalmente, che traduceva dall’arabo all’italiano e viceversa, mentre intorno a noi ragazzini di 13-14 anni ci controllavano facevano gesti per indurle a non parlare, intimidivano e già comandavano delle donne adulte. E questo non è accettabile».

Ma c’è chi pensa che gradualmente, ricorrendo al dialogo si possa risolvere tutto...

«Per dialogare bisogna essere in due e finora non vedo reciprocità. Noi tendiamo la mano e loro permettono che le moschee vengano guidate da personaggi che nei Paesi d’origine vengono considerati addirittura dei terroristi. Fanno in Italia quel non potrebbero mai fare a casa loro. Cosa aspettiamo a reagire? Vogliamo perdere la nostra libertà?».

E allora come si risolve il problema degli imam?

«Stabilendo regole certe, come chiedo da tempo. Ad esempio: un registro dei predicatori e la trasparenza assoluta sui bilanci delle moschee e dei centri culturali. Dobbiamo sapere chi li finanzia e come».

Pensa che questa volta il suo appello verrà ascoltato?

«Io mi rivolgo a tutte le forze politiche: la Carta dei diritti delle donne islamiche deve essere un valore condiviso, tuttavia rabbrividisco quando sento dei magistrati invocare le attenuanti culturali per delitti come quello di Sanaa a Pordenone o di Hina nel bresciano. Di fronte ad atrocità come queste non ci possono essere scusanti di alcun tipo. Basta con il finto buonismo e la falsa solidarietà».



Ma le donne islamiche ancora non si ribellano...

«Sono terrorizzate. Osservo i loro sguardi e li scopro pieni di paura. Non osano ribellarsi, dobbiamo farlo noi per loro. Un giorno ci ringrazieranno».
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