Toccato il fondo, non ci resta che ladrare

Sono sull’orlo del suicidio calcistico. Ripenso alla partita, come in un film, per cercare di trovare un buon motivo per non farla finita da tifoso. Non ne trovo. Chi ha finito la partita in 10 uomini e una gamba? Loro. Chi ha invocato un rigore? Loro. Chi ha perso l’uomo migliore dopo nemmeno mezz’ora? Sempre loro. Chi ha in squadra un talentino niente male che l’anno scorso non cagava nessuno? Purtroppo sempre loro. Chi ha in squadra un «grande vecchio» che fa da leader, dentro e fuori? Avete capito. Ho un piedino fuori dal balcone, barcollo. Penso alla mia gufata sulla Champions (infermeria piena, gobbi fuori) ma mi sovviene la partitona di sabato contro un Bologna che ci avrebbe fatto a pezzi. Sospiro pensando che per fortuna lo incroceremo più in là a maggio, quando magari i giochi saranno belli e che fatti. E che magari Fiorentina, Roma, Genoa e Napoli potrebbero aver messo una pietra sopra le loro ambizioni o averle ben consolidate. Ritiro i miei propositi, comincio ad avere le allucinazioni: sette punti con Samp, Palermo e Catania, bottino pieno col Siena, risultato a Milano, sponda rossonera.

Scivolo per l’emozione, ma prima di schiantarmi al suolo guardo il calendario di Chievo, Lecce e Reggina, tutte molto più squadra di noi, e penso che forse nemmeno 18 punti potrebbero bastare. Tonf! Mi sveglio tutto sudato, sono a pezzi come il Filadelfia, sento male dappertutto. Ma io sono il Toro. Provare a rialzarmi è l’unica cosa che mi resta. Che si perda o che si vinca. Magari ladrando.

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