Cronache

UN TOCCO D’UMANITÀ

In questi giorni, i nostri lettori hanno ricominciato a leggere su queste pagine storie di vinti. Storie di italiani che spesso hanno pagato a caro prezzo il solo fatto di essere nati dalla parte sbagliata, oppure di essere borghesi, o preti. Storie, spesso, di innocenti. Fascisti innocenti. Repubblichini innocenti. Innocenti e basta.
Così come quelli dell’estate 2004, gli articoli di Maria Vittoria Cascino, che - insieme alle storie che spesso ci raccontate direttamente voi - ci accompagneranno per tutto l’inverno, non sono e non saranno articoli politici nel senso stretto della parola. Non vogliono esserlo. Vogliono essere racconti umani, per restituire onore e dignità a chi spesso se l’è vista negata anche nella morte. Vogliono essere un tocco di umanità, una carezza, per chi spesso non ha avuto la gioia di un’ultima carezza dei suoi cari. Vogliono essere un omaggio a chi è rimasto fedele a qualcosa, a un’idea, a un valore - anche se sbagliati - senza sbandare, senza tradire se stesso, senza correre dietro ai canti delle sirene, senza chiedersi: «Cosa mi conviene fare?».
L’inchiesta dello scorso anno, firmata da Silvia Pedemonte, ha avuto un successo straordinario fra i nostri lettori. E quindi abbiamo deciso di continuarla, non certo di ripeterla pari pari. Anche se lo spunto di partenza, oggi come allora, è un libro di Giampaolo Pansa: ieri Il sangue dei vinti, stavolta Sconosciuto 1945. Il momento storico, oggi più di allora, è alla ricerca di oggettività nel giudizio storico sul fascismo anche da parte di intellettuali di sinistra. Ultimo della serie il regista Carlo Lizzani che ha recentemente detto in una tavola rotonda che il Ventennio non è stato solo oppressione e reazione culturale. Che ha contribuito alla modernizzazione incentivando il cinema, l’arte e l’architettuta. E che fare di «fascista» un termine insultante ha comportato una sottovalutazione della «geniale» capacità di Mussolini nell’incoraggiare sviluppo e modernità. Oddio, non è che Lizzani abbia detto chissachè di nuovo. La novità è che, ancora una volta dopo Pansa, queste frasi arrivano da sinistra.
Anche la nostra colonna sonora, oggi come un anno e mezzo fa, viene da sinistra. E’ Il cuoco di Salò di Francesco De Gregori, il racconto di un umile cuoco mentre tutto crolla. Una storia struggente: «Alla sera vedo donne bellissime/da Venezia arrivare fin qua/e salire le scale e frusciare/come mazzi di rose/Il profumo rimane nell’aria/quando la porta si chiude/ed allora le immagino nude a aspettare/sono attrici scappate da Roma/o cantanti non ancora famose/che si fermano per una notte/o per una stagione/al mattino non hanno pudore/quando scendono per colazione/puoi sentirle cantare./Se quest’acqua di lago fosse acqua di mare/quanti pesci potrei cucinare stasera/anche un cuoco può essere utile in una bufera/anche in mezzo a un naufragio si deve mangiare (...)/E alla sera da dietro a quei monti/si sentono colpi non troppo lontani/c’è chi dice che sono banditi/e chi dice americani/io mi chiedo che faccia faranno/a trovarmi in cucina/e se vorranno qualcosa per cena». Fino alla conclusione, drammatica e struggente: «Se quest’acqua di lago potesse ascoltare/quante storie potrei raccontare stasera/quindicenni sbranati dalla primavera,/scarpe rotte che pure lì tocca di andare/Che qui si fa l’Italia e si muore/dalla parte sbagliata/in una grande giornata si muore/in una bella giornata di sole/dalla parte sbagliata si muore».
C’è dentro tutto, Lucien Febvre, Marc Bloch, Fernand Braudel, le Annales e la storia raccontata come vita quotidiana. C’è dentro, soprattutto, tanta umanità.

Sarà quella che proveremo a regalarvi.

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