Maranello - Il destino ha voluto che la storia della Ferrari e la vita di Jean Todt viaggiassero paralleli, o quasi. Il Cavallino, quest’anno, celebra il sessantesimo e il suo amministratore delegato, a Maranello dal luglio ’93, ha appena spento la 61ª candelina. «Il mio - dice subito Todt - è un piccolo passaggio nel libro Ferrari, sicuramente il più importante nella mia vita professionale». Il Giornale ha intervistato Todt nella veste meno conosciuta al pubblico: quella di amministratore delegato della casa di Maranello.
E Todt, dal suo ufficio nella moderna palazzina a pochi metri dalla «base» da cui Enzo Ferrari osservava l’andirivieni degli operai all’ingresso della fabbrica, parla dei piani del Cavallino, dei mercati che restano da conquistare, delle sinergie con il gruppo Fiat e del futuro di Michael Schumacher che avrebbe potuto essere, se lo avesse voluto, quello di «erede» della sua poltrona. «Chiuderò la carriera qui a Maranello - precisa Todt - poi, magari, mi dedicherò con più tempo all’Icm (l’Istituto francese di ricerca per i disordini cerebrali e midollari fondato proprio dal top manager, ndr). Ma lo spirito che contraddistingue l’azienda resterà: pur facendo parte di un gruppo tornato in buonissima salute, la Ferrari sarà sempre una provincia a sé stante, abituata a battagliare e spesso a vincere contro colossi di livello mondiale».
In F1 è arrivato Kimi Raikkonen, avete rinnovato la gamma, vi siete affacciati su nuovi mercati. È un momento di grandi cambiamenti...
«Il pilota è la ciliegina sulla torta, ma se la torta non è buona... Per quanto riguarda la gamma, il nostro modello più vecchio ha 3 anni. Importante è saper rispondere con anticipo alle richieste di un mondo in evoluzione. Ci sono nuovi mercati che ci vedono impegnati: la Russia, l’Asia-Pacifico e la Cina dove abbiamo obiettivi ambiziosi. E un domani ci sarà l’India, dove stiamo sondando il terreno».
Pensate di sfruttare l’amicizia che ormai lega il gruppo Fiat alla famiglia Tata?
«È un aspetto che riguarda il presidente Luca di Montezemolo e l’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne».
E poi ci sono gli Emirati con il vostro socio Mubadala...
«Lì, come sapete, nel 2009 sarà pronto il grande parco Ferrari. Ormai dobbiano fare i conti con la nostra terza gamma, costituita dalle “licenze” all’utilizzo del marchio e dai “Ferrari store”. Tutte opportunità importanti a livello economico e di immagine (da soli i “Ferrari store” valgono 25 milioni di fatturato, mentre il giro d’affari generato dai prodotti con il Cavallino venduti dai licenziatari è stimato in 600 milioni. ndr)».
Pensate di realizzare altri parchi tematici in Paesi per voi strategici?
«Cominciamo a vedere come funziona quello di Abu Dhabi, poi si vedrà. È lo stesso metodo seguito per i nostri “store” nel mondo. Ne stiano per aprire altri due, a Los Angeles e a Pechino».
Ma esiste veramente il progetto di una «baby» Ferrari?
«No. Ci aspetta un futuro senza “baby”».
In questi anni, Mubadala a parte, hanno bussato a questa porta possibili candidati azionisti? Tata, per esempio...
«La Ferrari è molto rispettata a Torino: è una piccola ma importante azienda del gruppo. E l’interesse di tutti è lasciare questa azienda tranquilla. La Ferrari deve conservare la sua particolarità e deve continuare a crescere coma sta facendo».
Come affrontate l’aspetto del contenimento dei costi?
«Contenere i costi vuol dire anche spendere bene. Ci sono investimenti a cui non possiamo rinunciare per poter fronteggiare una concorrenza sempre più agguerrita. A tutti i livelli dell’azienda importante è spendere, ma bene. La revisione oculata dei costi in F1 ci permetterà di far crescre i margini. Già nel 2006 il Ros è aumentato portandosi ai livelli di un brand del lusso».
Riuscirebbe a immaginare una Ferrari senza Montezemolo?
«Conoscendolo bene, difficilmente vivrebbe senza la Ferrari».
Anche se il polo di Maranello cresce a vista d’occhio, si può ipotizzare, magari tra 10 anni, una «Ferrari 2» dall’altra parte del mondo?
«Mai. Le Ferrari saranno sempre “made in Maranello”».
Le sinergie con il gruppo Fiat e il travaso di uomini da Maranello a Torino, mi riferisco ai vari Bonollo, Stephenson e Martinelli...
«Con Torino lavoriamo molto, anche a livello di servizi finanziari e acquisti. Mi ha impressionato la velocità con cui la Fiat si è ripresa. I nostri uomini a Torino? Significa che siamo una piccola università e di questo ne vado orgoglioso».
E lei emigrerebbe a Torino, se glielo chiedesse Marchionne?
«La mia carriera a livello automobilistico si chiuderà qui».
Michael Schumacher: nel suo futuro ci saranno solo gli spot Fiat in tv?
«Dopo una carriera unica, ora Michael sta cercando di capire cosa fare in futuro. Oggi non vuole avere l’obbligo di dover fare qualcosa, bensì il piacere di farlo. A 38 anni può sciegliere di restare a casa e di darci dei consigli. Ha una conoscenza a 360 gradi del nostro mondo. Dobbiamo lasciargli il tempo di capire».
Ma sarà lui il futuro della Ferrari?
«Per prendere magari il mio posto o la gestione sportiva? Chi glielo farebbe fare di passare 14 ore al giorno qui a Maranello?».
Marchionne guida una Gtb 599 Fiorano. Ha seguito un corso di guida veloce da voi?
«Non mi metta in imbarazzo. Il dottor Marchionne adora le Ferrari ed è un intenditore».
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