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Le toghe si vendicano: Brigandì va cacciato

RomaL’accusa è di essere nel consiglio di amministrazione di una società. Anzi, la Commissione verifica titoli di Palazzo dei Marescialli contesta a Matteo Brigandì il non aver comunicato, quando fu eletto membro laico del Csm, di essere amministratore di una società legata alla Lega nord. Mancanza talmente grave, secondo la Commissione, da giustificare la decadenza del consigliere. Se, come probabile, la richiesta sarà accolta dal plenum del Consiglio superiore, quello di Brigandì sarà il primo caso di «licenziamento» nella storia dell’organo di autogoverno della magistratura.
La decisione era attesa ed è passata con un solo voto contrario, quello del laico del Pdl Nicolò Zanon. A Brigandì, ha accusato, non è stato concesso di «presentare un parere pro veritate» e quindi «non può dispiegare pienamente il proprio diritto di difesa».
A favore hanno votato il presidente Nello Nappi (Movimento per la giustizia) e il togato di Magistratura indipendente Tommaso Virga. Prima del voto, la commissione aveva ascoltato due volte Brigandì, che aveva spiegato come la Fin Group, la società della quale era amministratore prima di lasciare ogni incarico, non ha scopi economici mentre la legge sull’incompatibilità fa riferimento a società commerciali. Sulla incompatibilità non dichiarata la procura di Roma ha aperto un’indagine per falso.
Il fatto è che a portare il nome di Brigandì all’attenzione dell’opinione pubblica nazionale, non è stata tanto la presunta violazione delle norme sull’incompatibilità quanto le polemiche che seguirono la pubblicazione sul Giornale di atti del Csm su un procedimento di 20 anni fa a carico del pm milanese Ilda Boccassini, accusata (e poi assolta) dal consiglio di frequentare un giornalista accreditato al Palazzo di giustizia.
Notizia, i lettori lo ricorderanno, costata alla giornalista Anna Maria Greco una visita all’alba da parte delle forze dell’ordine e anche una perquisizione corporale. Stesso trattamento toccò a Brigandì. In sostanza, la giustizia e i media avevano individuato in Brigandì la «talpa» che aveva dato al Giornale l’atto del Csm. A poco servirono le smentite dello stesso consigliere leghista, che si è ritrovato indagato dalla Procura di Roma su un esposto del Csm per fuga di notizie. E, poco dopo, indagato anche per falso e messo alla sbarra per la incompatibilità.
Ieri Brigandì, ha preso atto della richiesta e ha scritto una lettera al presidente dell’organo di autogoverno della magistratura Giorgio Napolitano e al suo vice Michele Vietti, per chiedere che la sua pratica venga inserita al più presto all’ordine del giorno del plenum. La delibera sarà esaminata oggi dal Comitato di Presidenza e non è escluso che passi all’esame del plenum, già mercoledì. Difficile che qualcuno si pronunci a favore del consigliere e contro le tesi della «accusa», fatta eccezione per i membri laici.
Ieri, in difesa di Brigandì, si sono pronunciati due esponenti del centrodestra. La leghista Carolina Lussana e Gaetano Quagliariello, vicepresidente dei senatori del Pdl si è detto preoccupato «per il progressivo affievolirsi delle garanzie nell’ambito di un organo di rango costituzionale importante come il Csm. Mai in precedenza - ha sottolineato Quagliariello - anche in casi simili, si era assistito a procedure di questo genere».

Riferimento velato al vice presidente del Csm, Vietti, amministratore di una società proprietaria di un’altra società che opera nel settore sanitario. Il caso, fu sollevato dalla Lega, ma il consiglio di presidenza del Csm decise che la carica dell’esponente Udc non era incompatibile.

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